sabato 19 giugno 2010
A dieci anni dal lancio dell’iniziativa della Chiesa, un documento analizza i risultati conseguiti: «Anche laddove
non si è arrivati all’annullamento dei crediti, c’è stato un buon risultato a livello politico». Ora per gli esperti vanno rilanciati i prestiti responsabili.
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Dieci anni di appelli per un risultato politico straordinario. «Prima del 2000 era un tabù anche solo parlare di cancellazione del debito estero. Oggi invece questo viene considerato non solo possibile, ma anche auspicabile». È Riccardo Moro che riassume così il bilancio di un decennio di campagne contro una delle più palesi ingiustizie del pianeta ricco nei confronti dei Paesi poveri. L’ex direttore della Fondazione "Giustizia e solidarietà" ha illustrato ieri mattina i risultati del “Rapporto sul debito 2005-2010”, presentato nell’ambito di un seminario promosso dalla Cei proprio a «dieci anni dalla Campagna ecclesiale sul debito estero».Questo decennio, iniziato di fatto con il Giubileo del 2000 e con gli appelli di Giovanni Paolo II, ha ribaltato il modo di pensare internazionale intorno al problema. Oggi, dunque, nonostante in termini numerici il debito (come documentiamo nella tabella) sia complessivamente cresciuto per effetto degli interessi, non dà più le stesse preoccupazioni di una volta. Perché sono state poste le premesse culturali per la sua effettiva limitazione.I risultati presentati ieri stanno lì a dimostrarlo. «Ventotto Paesi hanno terminato la procedura di cancellazione totale. Altri sette hanno raggiunto il cosiddetto decision point, cioè il momento in cui i Paesi creditori decidono di concedere la cancellazione, riservandosi di vedere come verranno impiegati i fondi liberati. Altri cinque non hanno ancora avviato la procedura». Il totale fa 40 Paesi su circa una settantina fra quelli maggiormente indebitati.Insomma la «morale della favola» che si può ricavare da questi dieci anni è, come ha sottolineato lo stesso Moro, che «laddove l’iniziativa è stata legata rigorosamente alla lotta alla povertà per il futuro e con il coinvolgimento della società civile, i risultati sono stati positivi».Nel corso dell’incontro, Moro ha anche presentato il Rapporto sul debito 2005-2010, un volume intitolato Per una cittadinanza globale, che contiene tutti i dati sul tema aggiornati praticamente in tempo reale. Se l’impegno delle campagne giubilari «non ha sempre ottenuto cancellazioni – ha spiegato Moro – c’è stato però un buon risultato a livello politico. A differenza del passato, oggi questi principi sono riconosciuti e accettati e hanno prodotto un clima nuovo. In particolare, nel biennio tra il 1999 e il 2000, siamo entrati nella logica d’inserire il problema del debito nella prospettiva più ampia della lotta alla povertà, ponendo il tema dei finanziamenti allo sviluppo».Nell’ambito dei Paesi creditori, l’Italia ha fatto abbastanza bene la sua parte. Si è dotata, infatti, di una delle leggi più avanzate in materia (la 209 del 2000), ma non sempre l’ha applicata secondo «lo spirito che aveva portato il Parlamento alla sua approvazione». Nel Rapporto si rileva a tal proposito che, mentre «il legislatore intendeva determinare un’azione immediata di cancellazione, anche con la possibilità di procedere più rapidamente degli altri Paesi creditori», di fatto «i governi che si sono succeduti dall’approvazione hanno ritenuto di seguire e non di precedere il ritmo internazionale». A conti fatti, tuttavia, il debito totale cancellato dall’Italia arriva alla cifra di 6,553 miliardi di euro. Per il futuro, però, preoccupa il fatto che il nostro Paese stia diminuendo gli aiuti allo sviluppo. Erano lo 0,22 del Pil nel 2008, sono scesi allo 0,16 del 2009 con una riduzione di oltre il 30%. E le prospettive per il 2010 non sembrano migliori. Specie se confrontate con quelle di altre nazioni che stanno invece avvicinandosi al limite dello 0,7% fissato per il 2015.Sempre guardando al futuro, il Rapporto presentato ieri lancia uno slogan: «Cancellare di più, prestare meglio». In altri termini «far crescere strumenti per costruire nuove regole di prestito più responsabile o per un arbitraggio delle crisi». «La giustizia – ha ricordato Moro – si costruisce ricostruendo relazioni umanizzanti tra i popoli. In tal senso è un lavoro che tocca la responsabilità di tutti i cittadini della società civile». Naturalmente tocca però soprattutto le istituzioni. Specie in un periodo come questo in cui la questione del debito «presenta un nuovo rischio di vulnerabilità di fronte alla crisi finanziaria». Di qui l’urgenza di «una seria governance finanziaria in cui tenere aperta anche l’attenzione per i finanziamenti allo sviluppo», «la sfida della formazione» su questi temi, l’attenzione all’ambito «del lavoro». Tutte piste di «impegno civile» e politico individuate dagli organizzatori dell’incontro di ieri per «un’azione futura» ancora più efficace.
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