domenica 19 aprile 2009
Ieri la Giornata mondiale di sensibilizzazione sulla catastrofe umanitaria. Il governo dice di essere in grado di garantire l’assistenza ai rifugiati, ma nei campi le condizioni di sicurezza e di sussistenza rimangono disastrose.
COMMENTA E CONDIVIDI
A ormai più di un mese dalla richiesta di un mandato d’arresto per crimini di guerra nei confronti del presidente sudanese Omar Hassan el- Bashir (emessa dalla Corte penale internazionale dell’Aja), il regime di Khartum continua a sfidare la comunità internazionale. Nel corso di u­na nuova visita nel Darfur, Ba­shir è infatti tornato a sottoli­neare nei giorni scorsi che la giustizia internazionale non ha alcun potere e alcun ruolo in Sudan, e che spetta invece ai tri­bunali locali occuparsi dei col­pevoli dei crimini nella regione occidentale. Per i giudici del-­l’Aja, però, proprio Bashir è da considerarsi l’imputato nume­ro uno della catastrofe, a causa dell’appoggio che il regime ha dato in questi anni ai miliziani filo- governativi janjaweed e ai continui bombardamenti nei villaggi della regione. Da parte sua Bashir, annun­ciando l’avvio dell’attività di u­na commissione per la pacifi­cazione fra le tribù, ha detto che « dopo la riconciliazione inda­gheremo su quelli che hanno commesso reati, quelli che so­no stati uccisi e quelli che han­no ucciso. Ognuno vedrà ri­spettati i suoi diritti, questa è giustizia » . Forte del sostegno ricevuto so­prattutto dall’Unione africana e dai leader della Lega araba, nelle scorse settimane Bashir ha sfidato il mandato d’arresto in­ternazionale recandosi più vol­te all’estero (tra le sue tappe l’E­ritrea, la Libia, il Qatar e l’Ara­bia Saudita). Khartum si è im­pegnata a collaborare piena­mente con l’alta commissione formata dall’Unione africana, sotto la guida dall’ex presiden­te sudafricano Thabo Mbeki, per indagare sulle cause del conflitto del Darfur e per ela­borare raccomandazioni che portino alla sua fine. La com­missione ha ancora a disposi­zione quattro mesi di tempo per concludere i suoi lavori ed è previsto torni in Sudan prima della fine della missione. « Questo conflitto dura da trop­po tempo – ha detto Mbeki du­rante la visita a Khartum – è molto oneroso sotto vari aspet­ti. Bisogna fare qualcosa per far­lo finire il più presto possibile » . Per il momento Bashir continua a rifiutare il ritorno sul campo alle 13 Ong straniere espulse con l’accusa di spionaggio a fa­vore dei giudici dell’Aja. Il go­verno sudanese sostiene di es­sere in grado di proseguire da solo nell’attività di assistenza umanitaria agli sfollati, ma le Nazioni Unite hanno già sotto­lineato il rischio che l’impegno del regime si riveli largamente insufficiente. A livello diplomatico, da se­gnalare la missione dei giorni scorsi in Sudan dell’inviato speciale del presidente Usa Ba­rack Obama, Scott Gration. Se­condo quest’ultimo, Washing­ton e Khartum hanno «una nuo­va opportunità di costruire un rapporto di fiducia in presenza della nuova amministrazione Usa » . La visita di Gration in Sudan e Darfur ha dato all’inviato ame­ricano la possibilità «di avere conoscenza di prima mano del­la situazione umanitaria e del­la sicurezza, invece di formarsi idee e impressioni basate su im­magini e dati riferiti» . Gli Stati Uniti sono ora «pronti ad inter­venire positivamente sulla si­tuazione del Darfur» , ha con­cluso lo stesso Gration. Da parte sua, il segretario delle relazioni esterne del partito su­danese al potere, il National Congress Party ( Ncp), Mustafa Osman Ismail, ha rilevato che «la nuova amministrazione del presidente Obama ha bisogno di tempo per avere chiara la si­tuazione generale del Sudan» . La Casa Bianca, all’indomani del mandato di cattura contro el- Bashir, era stata chiara: «Chi ha commesso atrocità deve es­sere chiamato a risponderne» , era stato il messaggio rivolto a Khartum. Ma il margine di ma­novra di Obama, con un Bashir sotto accusa ma ancora così ben protetto, è inevitabilmente ri­dotto. L’azione diplomatica de­gli Stati Uniti, che con Londra costituiscono il fronte di oppo­sizione al regime, non si ferma. Anche John Kerry, ex candidato presidenziale e capo della com­missione Esteri del Senato di Washington, è in questi giorni in Sudan per una visita ed ha in- contrato diversi alti funzionari del Paese. A suo parere il Sudan sarebbe disposto ad autorizza­re l’ingresso di nuove Ong nel Darfur, senza però precisare se si tratti delle stesse organizza­zioni islamiche ipotizzate dal presidente egiziano Mubarak dopo l’incontro di due settima­ne fa con Bashir. «Verrà riutilizzata parte della ca­pacità atta a garantire assisten­za umanitaria» , ha dichiarato l’altro ieri John Kerry, sottoli­neando tuttavia di aver « ribadi­to a tutti i leader che un parzia­le ripristino della capacità non è sufficiente. Il tempo è essen­ziale per evitare una catastrofe umanitaria».
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: