venerdì 9 aprile 2021
L’anniversario della caduta di Bashir coincide con la ripresa degli scontri. La partenza del contingente Onu lascia libero campo alle violenze: oltre 150 morti a Geneina
Abitazioni in fiamme alla periferia di Geneina, capitale del Darfur Occidentale

Abitazioni in fiamme alla periferia di Geneina, capitale del Darfur Occidentale

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Nonostante le limitazioni imposte dal Covid-19, Khartum era pronta a celebrare una giornata storica per il Sudan. Ma sull’11 aprile, data in cui due anni fa veniva deposto il dittatore Omar Hassan el-Bashir, è calata una coltre di sangue e violenze. Doveva essere un anniversario di rinascita, per celebrare libertà, democrazia, giustizia, invece il primo ministro Abdallah Hamdok si ritrova a gestire lo stato di emergenza nel Darfur occidentale. Tra il 3 e il 6 aprile nella capitale Geneina, si è consumato l’episodio più grave dalla repressione delle “rivolte del pane” nel 2019. Oltre 150 morti e 300 feriti, il bilancio stilato finora dal Comitato dei medici sudanesi degli scontri scoppiati lo scorso fine settimana.
I primi contrasti sono iniziati venerdì scorso, con una diatriba tra i membri della tribù araba rizeigat e quelli della comunità masalit, che chiedeva giustizia per l’uccisione di due esponenti di quest’ultima. Il perdurare della mancanza di risposte da parte dei rivali ha riacceso il conflitto tra le parti innescando nuove violenze. Dopo il ritiro della missione congiunta delle Nazioni Unite e dell’Unione Africana in Darfur, gli scontri nella regione occidentale del Sudan – che ha già pagato un tributo di sangue con le oltre 400mila vittime della guerra iniziata nel 2003 tra ribelli e forze militari governative – sono aumentati esponenzialmente.
La mancanza di sicurezza nell’area impedisce agli operatori umanitari, che cercano di assistere gli sfollati, di fare il proprio lavoro. Un’ambulanza accorsa in un campo profughi a Geneina, dove un colpo di mortaio ha causato un incendio che ha bruciato la maggior parte delle capanne, è stata bloccata da uomini armati e gli operatori sanitari brutalmente picchiati.

Vista la situazione di rinnovata instabilità nel distretto, dove l’Onu gestisce la distribuzione degli aiuti a oltre 700.000 persone, le attività umanitarie sono state sospese. Il portavoce del Coordinamento generale dei campi profughi in Darfur, Adam Mah, sostiene che i miliziani inviati da Khartum supportino la maggioranza araba che si è impossessata dell’area che storicamente apparteneva ai masalit. «Da sabato le milizie hanno occupato i quartieri di al-Tadamon e al-Thawra, l’Università di Zalingei e i campi di profughi di Hajjaj e di Abuzei. Gli sfollati si sono rifugiati in una vecchia scuola. Riteniamo il governo di transizione, sia il Consiglio sovrano che i ministri, complice di questi attacchi pianificati a Khartum e perpetrati dalle forze armate dagli stessi funzionari governativi responsabili del mancato raggiungimento della giustizia per precedenti atroci crimini» accusa Mah.
Il campo di Abuzer e parte delle strutture della Zalingei University sono stati completamente distrutti, come testimoniano le foto e i video ripresi dagli abitanti della zona «nel silenzio e con la correità dei servizi di sicurezza sudanesi nel Darfur occidentale e l’incapacità delle autorità locali di proteggere i civili sfollati e indifesi, per giorni sotto il fuoco di artiglieria pesante e leggera» conclude il portavoce del Coordinamento. Già lo scorso gennaio a Saadan, nel Darfur meridionale, oltre 129 persone avevano perso la vita mentre 108.000 avevano dovuto lasciare le proprie case.
La convinzione di chi conosce bene gli apparati sudanesi è che questi brutali attacchi contro i civili siano la conferma, al di là di ogni dubbio, che le istituzioni dello stato centrale controllino e utilizzino ancora le milizie attraverso funzionari che “lavorano” in segreto per creare caos e instabilità politica. Anche per questo, da tempo la componente civile del Consiglio Sovrano, l’organo politico che supervisiona la fase di transizione democratica che porterà al voto nel 2022, chiede la ristrutturazione delle forze armate e civili della sicurezza nazionale.

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