mercoledì 11 giugno 2014
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Raramente un gruppo jihadista ha cambiato sigla così tante volte in pochi anni. L’attuale “Stato islamico in Iraq e nel Levante” (Isis) non è altro che l’ultima metamorfosi del gruppo fondato all’inizio del 2004 dal giordano Abu Musaab al-Zarqawi sotto il nome di “Tawhid e Jihad” (Unicità e guerra santa). La formazione si era resa nota, oltre che per i suoi attacchi contro gli sciiti iracheni, anche per i suoi metodi brutali: terrorizzava il nemico americano attraverso la diffusione di filmati con agghiaccianti scene di decapitazione di ostaggi occidentali. L’obiettivo di Zarqawi – sulla cui testa pendeva una taglia americana di 10 milioni di dollari – era quello di trasformare l’Iraq in una roccaforte dei mujahedin al posto del perduto «santuario» afghano. Nell’ottobre 2004 il gruppo ha giurato fedeltà a Benladen diventando “Organizzazione di al Qaeda per il jihad in Mesopotamia”, in pratica la filiale di al-Qaeda in Iraq. Nel gennaio 2006 la banda – ormai consolidata grazie all’arrivo di jihadisti stranieri – è entrata a far parte di un più vasto “Consiglio consultivo dei mujahedin in Iraq” che ha proclamato, nell’ottobre successivo, la nascita di uno “Stato islamico dell’Iraq” sotto la guida dell’emiro Abu Omar al-Baghdadi. Pochi mesi prima, il 7 giugno, Zarqawi era rimasto ucciso in un raid aereo Usa. Alla morte di Abu Omar, nel 2010, gli è succeduto Ibrahim al-Badri, alias Abu Bakr al-Baghdadi, noto per avere giurato di vendicare la morte di Benladen con cento attentati. È sotto la sua guida che il gruppo procede, nell’aprile 2013, all’ultima metamorfosi con la proclamazione dello “Stato islamico dell’Iraq e del Levante”. La mutazione della sigla provoca aspre polemiche con il Fronte Nusra, anch’esso affiliato ad al-Qaeda e molto attivo in Siria, il quale considera la mossa un tentativo di assorbire i propri effettivi. Nella diatriba interviene anche Ayman al-Zawahiri, capo supremo di al-Qaeda, il quale annuncia, l’8 novembre 2013, in un audio messaggio, lo scioglimento dell’Isis, affermando che il gruppo dovrà tornare a operare «solo in Iraq». Una richiesta caduta nel vuoto. In Siria (dove conta, secondo le diverse stime, tra 6 e 12 mila affiliati, tra cui numerosi jihadisti stranieri) Isil è in rotta con quasi tutti gli altri ribelli, che lo accusano di servire, con i suoi brutali metodi, a “giustificare” la repressione di Assad. Isis impone la sua autorità nelle province orientali, in particolare a Raqqa (dove si sarebbe reso responsabile del rapimento di padre Paolo Dall’Oglio) e occupa diverse città sul confine con la Turchia. In Iraq, Isis estende ormai il suo controllo alla maggior parte delle province a maggioranza sunnita, da al-Anbar a Mossul. La congiunzione delle due aree, siriana e irachena, prelude a un rischio reale, ossia la nascita di uno Stato sunnita radicale nel cuore del Medio Oriente.
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