lunedì 24 giugno 2019
La Court of protection di Londra aveva ordinato l'interruzione di gravidanza per la 25enne nigeriana disabile mentale. Ma il Tribunale d'appello ribalta la decisione
Giudice ordina l'aborto a giovane disabile. L'appello ferma tutto
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Solo grazie all’intervento del tribunale d’appello, arrivato oggi, quando sembrava che non ci fosse più nulla da fare, una giovane donna nigeriana, affetta da grave disabilità mentale, potrà portare avanti la gravidanza del bambino che porta in grembo da 22 settimane. Venerdì scorso, la Court of protection di Londra, tribunale istituito da una legge del 2005 per gestire le controversie di cittadini dichiarati incapaci di intendere e volere, aveva stabilito, per sentenza, che la ragazza, una venticinquenne con le capacità mentali di una bambina di 6 anni, avrebbe dovuto abortire «nel suo miglior interesse».

La decisione, che evoca, per lo meno nei termini, le sentenze emanate pochi anni fa da altri due tribunali inglesi nei discussi casi di Charlie Gard e Alfie Evans, i bambini morti per sospensione dei trattamenti vitali, ha sollevato l’indignazione e la protesta del mondo cattolico e non solo.

Tra i primi a prendere le difese della donna è stato John Sherrington, vescovo ausiliare della diocesi di Westminster, che, in un intervento pubblicato sul sito della Conferenza episcopale di Inghilterra e Galles, ha scritto: «Costringere una donna ad abortire contro la sua volontà, e quella della sua famiglia, viola i suoi diritti, per non parlare di quelli del suo bambino non nato». Monsignor Sherrington ha sottolineato, inoltre, che si tratta di un caso «per il quale non sono disponibili tutte le informazioni» e che, a maggior ragione, «solleva seri interrogativi sul significato del “migliore interesse”».

Ci sono, in effetti, alcuni aspetti dell’intera vicenda che devono essere chiariti. Quello principale riguarda le circostanze che hanno portato alla gravidanza, ma trattandosi, molto probabilmente, di una violenza a fare luce in merito saranno le indagini in corso della polizia. Di certa c’è, però, l’opinione gli assistenti sociali e i team di legali che hanno seguito il caso.

Questi hanno sostenuto davanti alle corte che la ragazza, con l’aiuto della madre, ex ostetrica, avrebbero potuto prendersi amorevolmente cura del piccolo. Tutto inutile agli occhi della giudice Nathalie Lieven, per cui la gravidanza andava interrotta. «È straziante» e «sono assolutamente conscia che ordinare a una donna d’interrompere la gravidanza contro quella che appare la sua volontà è un’intrusione enorme», ha messo le mani avanti la giudice, sostenendo, tuttavia, di averlo fatto per l’«interesse» della madre stessa, «e non della società», per la quale, a suo dire, «un bambino avrebbe avuto la stessa importanza di un bambolotto».

La sentenza di Lieven è stata rovesciata dai tre magistrati d’appello che si sono riservati di pubblicare le motivazioni a giorni. La speranza è che questo «triste e angosciante» episodio faccia giurisprudenza. «In una società libera come la nostra – ha sottolineato il vescovo Sherrington – c’è un delicato equilibrio tra i diritti dell’individuo e i poteri dello Stato». E va mantenuto.

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