sabato 1 novembre 2008
Prosegue l'assedio dei ribelli di Nkunda al capoluogo del Nord Kivu. Già 40mila i profughi. Le organizzazioni denunciano: «Campi sgomberati con la forza e dati alle fiamme». Bruxelles: «No a forza europea». Vertice sulla crisi a Nairobi: Ue e Usa tentano la mediazione.
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Ci si aggrappa alle mediazioni che corrono sotto traccia per decifrare il destino di Goma, capoluogo congolese del Nord Kivu circondato dalle milizie del generale Laurent Nkunda. I ribelli sono ancora lì, alle porte della città. Potrebbero invaderla in ogni momento, tagliarne i rifornimenti, farla definitivamente sprofondare nel caos. Ma per ora preferiscono aspettare, trattare, ottenere il massimo dalle autorità di Kinshasa. Fonti locali riferiscono ad Avvenire che nell’aeroporto cittadino sono atterrati ieri mattina il premier Adolphe Muzito e una dozzina di ministri, emissari del presidente Joseph Kabila. E a Goma sono attesi, dopo una puntata a Kinshasa, i ministri degli Esteri di Francia e Gran Bretagna, Bernard Kouchner e David Miliband, mentre già da due giorni è nella zona il vice segretario di Stato americano incaricato degli affari africani, Jendayi Frazer. Il caso Goma, dunque, assume sempre più una dimensione internazionale. Nella quale gioca evidentemente un ruolo di primo piano anche il Ruanda, che il Congo accusa di sostenere i ribelli di Nkunda. Sia Kigali che Kinshasa, peraltro, hanno detto sì ieri alla proposta del commissario Ue agli aiuti umanitari, Louis Michel, di un summit da tenersi a Nairobi.L’Unione europea, peraltro, dopo aver ribadito la necessità di una soluzione diplomatica al conflitto, non ha preso alcuna decisione sull’invio di una missione di peace-keeping proposto dalla presidenza di turno francese. Si parlava di 1.500 militari, ma per ora non se ne farà nulla. A Goma ieri la situazione aveva assunto una parvenza di normalità, ma la tensione restava ancora forte. Si sono rivisti i primi mototaxi, segno di una ripresa delle attività quotidiane, e i saccheggi sono in diminuzione, ma ciò non significa che la situazione sia tranquilla. Colpi di arma da fuoco sono risuonati in alcune zone della città. Alcune fonti parlano di sparatorie che hanno coinvolto agenti della polizia e militari, con i primi incaricati di pattugliare le strade per evitare i saccheggi notturni compiuti da gruppi di soldati regolari allo sbando. Secondo una nota degli agenti di sicurezza, due militari sono stati uccisi e altri tre arrestati mentre erano impegnati a saccheggiare alcune abitazioni. Per dare fiducia alla popolazione l’altra sera è arrivato a Goma anche il capo della polizia nazionale congolese, John Numbi, prima autorità nazionale a mettere piede nel capoluogo del Nord Kivu da quando l’avanzata dei ribelli del Congresso nazionale del popolo (Cndp) di Nkunda si è fermata alle porte della città. Da Ginevra le Nazioni Unite hanno denunciato violenze, stupri diffusi e violazioni dei diritti umani commesse contro i civili proprio dai soldati in fuga dell’esercito congolese, mentre altri gravi abusi, uccisioni mirate incluse, sono state riferite nelle zone controllate dai ribelli. I miliziani avrebbero sparato contro una clinica dove erano fuggiti soldati governativi, causando vittime tra i civili, e un incidente simile è stato riferito anche in una clinica a Rutshuru. A Kibumba, dove stanno tornano decine di profughi scappati nei giorni scorsi, molte delle abitazioni sono andate distrutte negli scontri. Mentre la diplomazia è al lavoro alla ricerca di spazi negoziali, le organizzazioni umanitarie hanno chiesto la collaborazione dei belligeranti per portare aiuto alla popolazione sfollata e stremata da settimane di combattimenti. Oltre ai circa 40mila sfollati interni provocati dai combattimenti degli ultimi giorni, sia l’Uganda che il Ruanda hanno comunicato l’arrivo nel proprio territorio di alcune migliaia di profughi congolesi, circa 2mila in territorio ugandese e quasi il doppio in quello ruandese. Alcune fonti parlano di campi profughi sgomberati con la forza e dati alle fiamme.La Croce Rossa non esita a parlare di «catastrofe umanitaria», mentre Save the children ha lanciato l’allarme sull’arruolamento forzato dei bambini. Molte Ong sono già state costrette a spostare gli operatori in zone più sicure e coloro che sono restati in città cercano di unire le proprie forze, in attesa che le mediazioni tra i protagonisti del conflitto possano ottenere risultati.
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