giovedì 21 dicembre 2023
La Cina striglia Manila e le intima di "agire con cautela" dopo gli scontri nei giorni scorsi. Il ruolo degli Usa e delle risorse energetiche
Il video dell'incidente tra mezzi navali cinesi e filippini

Il video dell'incidente tra mezzi navali cinesi e filippini - ANSA

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Le scaramucce sono diventate schermaglie. E le schermaglie - accompagnate da dispute (non solo verbali) sempre più accese, con Pechino che sembra alternare il bastone e la carota - rischiano di innescare un conflitto aperto. Un’escalation, quella tra Cina e Filippine, che arriva proprio quando Washington e Pechino stanno provando ad allentare la tensione, dopo l’incontro tra il presidente cinese Xi Jinping e quello statunitense Joe Biden dello scorso 15 novembre. Il capo dello stato maggiore congiunto degli Stati Uniti, il generale Charles Brown, ha parlato con la sua controparte cinese, il generale Liu Zhenli, interrompendo un “silenzio” che durava da 16 mesi.

Una nave militare cinese nelle acque dl Mar Cinese Meridionale

Una nave militare cinese nelle acque dl Mar Cinese Meridionale - ANSA

"Manila agisca con cautela"

Il ministro degli Esteri cinese Wang Yi ha avvertito il suo omologo filippino Enrique Manalo che Manila deve "agire con cautela", dopo una serie di incidenti in mare tra i due Paesi legati alle loro controversie territoriali nel Mar Cinese Meridionale. Le relazioni tra Pechino e Manila "sono a un punto di svolta. Dovendo scegliere la direzione da prendere, le Filippine devono agire con cautela", secondo un comunicato di Wang diffuso dal dicastero cinese. In una conversazione telefonica avuta ieri con Manalo, Wang ha affermato che Filippine e Cina stanno affrontando "gravi difficoltà" e ha ritenuto Manila responsabile della situazione. "La ragione è che le Filippine hanno cambiato la loro posizione politica, sono venute meno ai propri impegni, hanno continuato a provocare e causare problemi in mare e a violare i diritti legali della Cina", si legge nella dichiarazione di Pechino.
Mercoledì il ministro della Difesa filippino aveva rimproverato la Cina, affermando che “nessun Paese al mondo” sostiene le sue rivendicazioni marittime.
Dieci giorni fa Manila ha convocato l'ambasciatore cinese e sollevato la possibilità di espellerlo dopo i nuovi scontri tra le navi dei due paesi del Mar Cinese Meridionale, i più tesi degli ultimi anni. Secondo i video diffusi dalla guardia costiera filippina, il 10 dicembre navi cinesi hanno sparato con idranti contro imbarcazioni filippine in missione di rifornimento. Lo stesso giorno si è verificata anche una collisione tra una nave filippina e una della guardia costiera cinese, con entrambi i Paesi che si sono incolpati a vicenda per l'incidente.

Pechino ritiene di avere "diritti storici" su quasi tutto il Mar Cinese Meridionale, comprese le acque e le isole vicino alle coste degli altri Paesi, e ha ignorato la sentenza di un tribunale internazionale del 2016 che respingeva le sue richieste ritenendole prive di base giuridica. Un interesse facilmente spiegabile. La Eia (Energy Information Administration) stima che il Mar Cinese Meridionale contenga giacimenti di idrocarburi pari a circa 11 miliardi di barili di petrolio e 190 trilioni di gas naturale. La Cina ha costruito porti, installazioni militari e piste di atterraggio, in particolare nelle isole Paracel e Spratly, dove schiera, rispettivamente, venti e sette avamposti. La aggressiva politica cinese ha innescato una serie di contese territoriali con diversi Paesi, dal Brunei all’Indonesia, dalla Malesia alle Filippine, da Taiwan al Vietnam.

La guardia costiera delle Filippine

La guardia costiera delle Filippine - REUTERS

Il ruolo degli Usa

Gli Stati Uniti non sono certo attori disinteressati. Un trattato del 1951 vincola Washington a difendere le Filippine. Lo scorso 2 febbraio, il segretario alla Difesa Lloyd Austin ha annunciato il ritorno temporaneo delle truppe americane in quattro nuove basi militari nelle Filippine, riavviando una presenza militare “dormiente” da trent’anni. Le nuove basi sono concentrate sull’isola di Luzon a nord e a Palawan a ovest. La decisione, che rafforza la presenza degli Stati Uniti nell’Indo-Pacifico, contiene un "messaggio" rivolto alla Cina e alle sue aggressive attività marittime nel Mar Cinese Meridionale. “In questo modo gli Stati Uniti stanno riaffermando i loro forti legami con le Filippine grazie alla loro posizione geografica, nonostante l’allineamento della precedente amministrazione Duterte con la Cina”.

Una posizione strategica
Le Filippine occupano una posizione strategica. Le isole più settentrionali dell’arcipelago si trovano a 190 chilometri da Taiwan, poco più in là dell’isola più vicina del Giappone (Senkaku a 170 chilometri). Un’invasione cinese di Taiwan avrebbe implicazioni serie per le Filippine, pari alle conseguenze di un disastro umanitario, compreso il rischio di flussi di rifugiati. Tale scenario ha un precedente, ben ricordato nelle Filippine, nella guerra del Vietnam. Inoltre ci sono circa 200.000 filippini che lavorano a Taiwan. “Per Manila quindi il controllo di Taiwan da parte cinese sarebbe un disastro economico e strategico. Un’invasione da parte di Pechino aumenterebbe le capacità di proiezione del potere cinese e indebolirebbe la capacità degli Stati Uniti di sostenere il suo alleato attraverso una presenza aerea e navale nella regione”.

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