sabato 27 febbraio 2021
Con un abitante su cinque già immunizzato, il Paese australe si è assicurato la quinta posizione globale per dosi somministrate. Cruciale per il successo la diversificazione degli acquisti
A Santiago le vaccinazioni sono anche "drive-thru"

A Santiago le vaccinazioni sono anche "drive-thru" - Reuters

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La corsa del virus s’era fatta galoppante. Giorno dopo giorno, a partire dalla metà di maggio, i contagi salivano a ritmo incalzante. Fino al picco del 12 giugno, quando il Cile – Paese di meno di venti milioni di abitanti – è schizzato in quinta posizione mondiale per numero di infezioni quotidiane, prima del “gigante Messico”. Le critiche sulla gestione della pandemia, sommate alle proteste anti-disegnaglianza di fine 2019, hanno rischiato di travolgere il governo di centro-destra di Sebastián Piñera, già al minimo storico di popolarità. Otto mesi dopo, lo scenario s’è ribaltato. La nazione australe ha raggiunto un record di segno opposto: ha vaccinato oltre 3 milioni di persone, il 16 per cento degli abitanti. E, di questo passo – quasi 90mila iniezioni ogni 24 ore – dovrebbe arrivare a 15 milioni entro giugno, quota che le consentirebbe di raggiungere l’immunità di popolazione. Grazie a tale slancio, il Cile non ha conquistato solo il titolo di più efficiente organizzatore della campagna di immunizzazione dell’America Latina. Un traguardo poco lusinghiero dato che, nella sterminata regione dal Rio Bravo alla Terra del Fuoco dove si concentra un quarto dei decessi totali, è stato somministrato il 3 per cento globale dei vaccini. Con 12,43 inoculati ogni cento persone – quattro volte la cifra brasiliana –, Santiago è di nuovo in quinta posizione internazionale, stavolta, però, per le fiale distribuite. Lo precedono solo Israele, Emirati, Gran Bretagna e Stati Uniti. L’Unione Europea procede al ritmo di 5,19 su cento. Qual è il motore della locomotrice vaccinale cilena? La parola d’ordine della strategia Piñera è stata «diversificare». A partire dalla metà di maggio scorso, mentre il Covid iniziava a dilagare, il presidente ha sollevato il sottosegretario per le Relazioni economiche internazionali, Rodrigo Yáñez, dalle attività ordinarie e gli assegnato mandato esclusivo di chiudere contratti con le case produttrici dei vaccini, con ampio anticipo sui concorrenti internazionali. A partire dalla cinese Sinovac, che, nell’arco di tre anni, fornirà sessanta milioni di dosi: quattro milioni sono già arrivati. Cruciale nella chiusura dell’accordo, la collaborazione avviata ben prima dell’irruzione del coronavirus, tra il laboratorio di Pechino e l’Università Cattolica del Cile. È stato l’ateneo a convincere le autorità locali a finanziare la sperimentazione del farmaco nel Paese, in cambio di agevolazioni nell’acquisto. «Abbiamo fatto una scommessa – ha affermato Yáñez –. Una buona scommessa». In realtà, si è trattato di un azzardo calcolato. Il governo non ha puntato tutto in un’unica mano. Ha negoziato, in parallelo con tutte le principali aziende farmaceutiche, senza alcuna preclusione, dagli Usa alla Russia. Assicurandosi rifornimenti da Pfizer, AstraZeneca, Johnson&Johnson e aprendo canali con CanSino e Sputnik, per un totale di novanta milioni di dosi, sufficienti per immunizzare due volte i suoi cittadini.
Certo, il Cile dispone di più risorse economiche rispetto a gran parte dei Paesi della regione. Non a caso è parte dell’Ocse al fianco delle grandi potenze e la sua crescita, fino al Covid, è stata tra le più rapide e sostenute del Continente. Come le rivolte anti-establishment del 2019 hanno dimostrato, tuttavia, il Paese è tutt’altro che un’oasi. La diseguaglianza è feroce e i principali servizi sono in mano ai privati. Consapevole di giocarsi il proprio capitale politico, tuttavia, Piñera è riuscito a sfruttare al massimo i punti di forza dell’apertura della nazione al commercio mondiale. Il Cile ha in vigore trenta accordi con le principali nazioni ed ha potuto muoversi, dunque, con maggiore agilità sullo scacchiere globale. Altro elemento chiave del successo è la logistica. Le autorità hanno allestito 1.300 centri in tutto il territorio e adibito alle operazioni di immunizzazione qualunque spazio pubblico. Allo sforzo si è unita anche la Chiesa. Le diocesi hanno offerto i templi per favorire la campagna sanitaria. Un «atto di amore al prossimo e di responsabilità morale», ha spiegato la Conferenza episcopale cilena nel messaggio quaresimale. Ancor prima dell’immunità, nel frattempo, il vaccino sta contribuendo a raggiungere un altro obiettivo: l’allentamento della polarizzazione politica estrema, acuita dalle proteste del 2019. Al plauso per la strategia Piñera s’è unita anche l’opposizione di centro-sinistra. Un segnale di distensione in vista delle elezioni di aprile dell’Assemblea incaricata di scrivere la nuova Costituzione.

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