giovedì 29 marzo 2018
Il vescovo: contro di lui accuse false. Il parroco si batte da anni contro le occupazioni illegali dei terreni pubblici da parte dei latifondisti e lo sfruttamento selvaggio dell'Amazzonia
padre Amaro Lopes chiede giustizia per suor Dorothy ed altri difensori dei deboli uccisi

padre Amaro Lopes chiede giustizia per suor Dorothy ed altri difensori dei deboli uccisi

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Da martedì sera, padre Amaro Lopes è chiuso nel carcere di Altamira. Nello stesso padiglione dove si trova, dal settembre 2017, Regivaldo Pereira Galvão, il latifondista condannato come mandante dell’omicidio di suor Dorothy Stang, la religiosa Usa massacrata il 12 febbraio 2005 per il suo impegno in favore dei contadini senza terra dell’Amazzonia. Dorothy, in particolare, aveva lanciato l’idea di realizzare ad Anapu – epicentro dei conflitti agrari – i cosiddetti “progetti produttivi”, attività agricole sostenibili, realizzate su terreni abusivamente occupati dai “fazendeiros”.

Padre Amaro ha raccolto la sua eredità nell’équipe diocesana dello Xingu e nella Commissione pastorale della terra (Cpt). Il che gli è costato – denuncia la Cpt – una raffica costante di minacce di morte. Nel 2015, il Financial Times aveva parlato di una sistematica campagna di diffamazione nei suoi confronti. A gennaio, era stato fermato il suo più stretto collaborazione, Claudio, nella cui auto era stata trovata una pistola non registrata. Ora è arrivato l’arresto. Con una serie di pesanti accuse: intimidazione, estorsione, molestia sessuale, invasione di proprietà privata, riciclaggio. In particolare, il parroco di Santa Lucia è considerato lo “stratega” delle “occupazioni” di terra.

O meglio della riappropriazione dei contadini di terreni pubblici, illegalmente confiscati dai latifondisti. Un problema storico ad Anapu e nell’intero Stato del Pará. Dato il contesto, la Chiesa e la comunità non credono alle accuse contro padre Amaro. Il vescovo di Xingu, João Muniz Alves, e il suo predecessore, Erwin Kräutler hanno espresso solidarietà al sacerdote. «Dopo anni di minacce, Padre Amaro ora è vittima di diffamazione al fine di delegittimare il suo impegno in favore degli ultimi», hanno scritto i due pastori in un comunicato congiunto. La Cpt – il cui legale ha assunto la difesa del parroco – ha detto di non aver potuto vedere il dossier con le presunte prove. Sia la Chiesa, sia la Cpt, sia le suore di Notre Dame di Namur – la congregazione di suor Dorothy con cui lavora – hanno espresso preoccupazione per il fatto che il sacerdote si trovi nello stesso carcere dell’assassino di quest’ultima.

La vicenda di padre Amaro si inquadra in una crescente pressione dei cacciatori di risorse sull’Amazzonia. Un fenomeno denunciato da Nara Baré, prima donna leader del Coordinamento di organizzazioni indigene dell’Amazzonia brasiliana (Coiabi). A Milano per il Festival dei diritti umani, accompagnata da Greenpeace, Baré ha parlato di «un forte peggioramento delle condizioni non solo degli indios, ma anche dei piccoli proprietari e dei contadini senza terra. L’agrobusiness ha ampliato esponenzialmente le proprie frontiere, con l’occupazione di ampi pezzi di foresta destinati alla coltivazione di soia e canna da zucchero. A questo, si sommano le misure del governo di Michel Temer, sostenuto in Parlamento dai latifondisti, per consentire l’attività mineraria e l’agricoltura intensiva in aree protette. Il nuovo codice forestale, infine, legalizza l’occupazione abusiva di terre da parte dei fazendeiros».

In tale contesto, acquista un’importanza ancora più cruciale l’incontro di papa Francesco con i popoli indigeni, a Puerto Maldonado, nell’Amazzonia peruviana, il 17 gennaio. «È stato un momento davvero importante per noi. Molti nativi brasiliani vi hanno partecipato. Le parole del Pontefice hanno dato forza alla nostra lotta pacifica per la dignità dei nativi. Ci battiamo per la difesa della foresta. Spesso gli indios vengono accusati di essere contrari allo sviluppo. È una menzogna. Siamo semplicemente contrari ad uno “sviluppo a tutti i costi”. A uno sfruttamento economico che strangola le vite degli esseri umani. Non solo degli indigeni che sperimentano le conseguenze più dirette della crescente distruzione della foresta. Ma di tutti. L’Amazzonia è il polmone del pianeta. E il suo scrigno di biodiversità. Difenderla, dunque, è interesse dell’intera umanità».

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