venerdì 13 marzo 2009
La riapertura del Museo nazionale di antichità e dell’Istituto di musica. Il rilancio del «caffè» più famoso della capitale. Si moltiplicano le iniziative per rilanciare la vita culturale Segno della speranza che rinasce tra la gente dopo gli anni della violenza che aveva annichilito «Andare per le strade con uno strumento musicale, fino a poco tempo fa, poteva essere un rischio mortale» Il contributo dell’Italia
COMMENTA E CONDIVIDI
Mostre d’arte, spesso con ope­re di artisti cristiani. Musici­sti provetti che liberamente riprendono in mano i propri stru­menti, messi al bando dai terroristi. Un caffè culturale che ricomincia a vivere dopo l’attentato subito due anni fa. E soprattutto il Museo na­zionale di antichità che riapre i bat­tenti, scolaresche e gruppi in visita tra i padiglioni carichi di una storia millenaria. Sono piccoli ma signifi­cativi segnali di un Iraq che vuole ri­nascere, che raramente va sui gior­nali, sconosciuto ai più qui in Occi­dente, sostenuto da un popolo che si ritrova nella propria storia e nella cultura forgiata da secoli di arte, let­teratura e incroci di religioni. Centro culturale Biyarq, Baghdad: pochi giorni fa qui si è tenuta una mostra di opere d’arte, tra cui quel­le di alcuni artisti cristiani ortodos­si, dal titolo ' La porta stretta'. Ad i­naugurarla Jacques Isaac, vescovo ausiliare dei caldei di Baghdad: cin­quanta manufatti, dipinti e sculture, esposti a un caloroso pubblico. Un vero evento, dato che l’ultima volta che si era tenuto qualcosa del gene­re correva l’anno 2002, vigilia della seconda guerra del Golfo: si trattava del festival dell’arte assira. Cultura, dunque, in una Baghdad che rivive. Come quella che si respi­ra nuovamente al caffè Shabandar: il titolare, Mohammad al- Khashali, 77 anni, ha superato lo choc di 5 figli morti nell’attentato suicida che il 5 marzo 2007 distrusse la sua famiglia e il suo locale, considerato uno dei centri culturali più vivaci dell’ex ca­pitale del Califfato. Situato vicino al vecchio parlamento, il Shabandar viene considerato da molti artisti co­me una sorta di "seconda casa": «È la nostra dimora culturale, ci ho pas­sato un quarto di secolo » , racconta lo scrittore Kamal Latif Salem. « Ho voluto mantenerlo vivo, anche se mi è costato la vita di 5 figli» , dice il ti­tolare al- Khashali dal suo caffè si- tuato in Mutanabi Street, che in Iraq ha fama di ' santuario dell’arte'. C’è poi il caso di chi, durante gli an­ni più duri del terrorismo integrali­sta di matrice islamica, ha cercato di resistere suonando. Lo testimonia­no gli studenti dell’Istituto di musi­cale di Baghdad, che in questi gior­ni ha ripreso normalmente i suoi cor­si: « Andare per strada con uno stru­mento musicale, qualche tempo fa, poteva essere un rischio mortale » , dice Saif Salmane, alunno ventenne dell’istituto. Che ora ha superato i tempi bui dell’ostracismo e può ri­prendere a funzionare: «Gli studen­ti sono talmente entusiasti che ven­gono anche durante i giorni di va­canza » , si rallegra il direttore Sattar Naji. Il centro educativo era stato du­ramente colpito durante i bombar­damenti americani per il fatto che sorgeva vicino al centro delle tele­comunicazioni nazionali. Poi, du­rante il periodo del terrorismo più violento, la musica era considerata un attentato alla ' purezza' dell’i­slam. E i musicisti dovevano na­scondersi. « Quest’anno è la prima volta che torniamo alla normalità » , spiega l’aspirante musicista Hazar Bassem, mentre sistema il suo liuto. Intorno a lui i suoi compagni ar­meggiano con il nay, un flauto obli­quo, e la santour, tipica chitarra da tavolo. Cinque anni di corsi, poi il passaggio all’Accademia di belle ar­ti è il percorso per questi amanti del­le sette note. La pressione psicologi­ca del terrorismo ha lasciato segni profondi: nelle aule dell’istituto le ra­gazze ( un tempo di numero pari ai maschi) oggi si contano sulle dita di una mano. A novembre l’esercito americano ha terminato l’occupazione ( abusiva) del Babel College, la facoltà di teolo­gia del patriarcato caldeo, negli ultimi anni trasformata in una caserma del­l’esercito yankee, ora in via di ristrut­turazione. I giorni scorsi sono stati il­luminati dalla ria­pertura del Museo nazionale di an­tichità di Baghdad, sito d’arte dove si conservano la memoria di tre civiltà (Sumeri, Babilonesi e Assiri) e 11 mil­lenni di storia. Haji Abed Atiya al­Chameri, per mezzo secolo custode di queste sale, è stato un testimone diretto dei saccheggi che colpirono il Museo dopo l’invasione anglo­americana: « Non potevo fermare i terroristi, venivano dentro con le pi­stole in mano». Le ruberie nel caos del dopo-Saddam, sottrassero al Mu­seo 15mila pezzi di valore: 6mila og­gi sono tornati al loro posto. Qual­che giorno fa l’Iraq ha vissuto una giornata d’orgoglio con la riapertu­ra ufficiale del Museo naziona­le alla presenza del premier Nouri al Maliki: « Tutti quelli che hanno messo in dubbio la capa­cità degli irache­ni di riaprire il loro museo sono invitati a venire a vedere » , ha affer­mato con puntiglio Wahtan Abbas, ministro del Turismo e delle Anti­chità. Gli Stati Uniti hanno provato a ' ri­mediare' alla passata trascuratezza verso la sicurezza del Museo, ver­sando 14 milioni di dollari per il suo ristabilimento. Le operazioni di re­cupero dei tesori rubati sono arriva­te addirittura fino in Perù, Svezia, I­talia ed Egitto; dalla Siria sono ritor­nati 701 articoli da catalogo, dalla Giordania 2466, dagli Stati Uniti 1046. Non tutto l’edificio del Museo è stato riaperto: tra il dicastero della Cultura, che aveva manifestato an­cora timori per la sicurezza del teso­ro artistico contenuto, e quello del Turismo vi erano alcuni attriti sulla storica riapertura. Alla fine si è tro­vato un compromesso: « Sono state aperte, per ora solo con visite guida­te, 8 delle 26 gallerie » , spiega Amira Edan, direttore del Museo. Alcuni ar­ticoli catalogati non sono ancora e­sposti per motivi di sicurezza: i cele­bri gioielli delle tombe reali di Ur e Nimrud restano ancora negli archi­vi, mentre le sale dedicati agli Assiri e all’arte islamica sono visitabili gra­zie a un sostanzioso aiuto italiano ( 1 milione di euro) e al lavoro di un team di esperti, capitanati dall’ar­cheologo Giuseppe Proietti. A sinistra, il cortile dell’Istituto di musica di Baghdad, riaperto di recente. L’edificio, che sorgeva vicino al centro delle telecomunicazioni nazionali, era stato gravemente danneggiato dai bombardamenti americani. Quando il terrorismo dettava legge, la musica era considerata dai fondamentalisti come una manifestazione di impurità e veniva perseguita. Ora la scuola è tornata in attività, e viene frequentata anche da alcune ragazze A sinistra, un locale dello Shabandar, il caffè culturale più noto della capitale irachena, considerato da molti intellettuali ed artisti come una sorta di seconda casa, e che in tempi recenti ha ripreso la sua vivacità. Sopra, il Babel College che ospita la facoltà di teologia del Patriarcato caldeo, negli ultimi anni trasformata in caserma dell’esercito americano e attualmente in fase di ristrutturazione. Sono rientrati nel Museo nazionale di archeologia, recentemente riaperto al pubblico, seimila dei quindicimila oggetti che erano stati trafugati (Reuter)
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: