mercoledì 9 aprile 2014
A Buenos Aires scatta il piano di «emergenza sicurezza» Linciati dodici malviventi, un morto al giorno a Rosario
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Aprima vista non si nota. Buenos Aires – la città infinita – che, insieme all’intorno, sfiora i 15 mi­lioni di abitanti, continua nella sua turbolenta normalità. Eppure – assicura il governatore Daniel Scio­li – “l’emergenza sicurezza” è già scattata. E 5mila agenti sono stati richiamati per dare manforte ai 72mila po­liziotti in servizio. In breve, così, il tema della crimina­lità ha fatto irruzione nella politica argentina. E in par­ticolare nel peronismo, a caccia dell’erede di Cristina Fernández Kirchner per le presidenziali del 2015. Non a caso il più accanito critico del piano Scioli, peronista moderato, è il rivale Sergio Massa.  Al di là delle strumentalizzazioni elettorali, il proble­ma violenza esiste. Ed è indissolubilmente legato al­l’altro grande “ex-tabù”: il narcotraffico. La raccapric­ciante dimostrazione sono i 12 linciaggi di ladri, mo-­lestatore, piccoli truffatori, avvenuti nelle ultime setti­mane. Molti nella provincia bonariense. Il primo, però, si è verificato a Rosario. La terza metropoli argentina era fino a qualche tempo fa nota per essere la città na­tale di Lionel Messi e Ernesto Che Guevara. Da alme­no due anni, però, la sua “fama” si deve al record na­zionale di omicidi. Oltre 200 nel 2013, almeno 100 da gennaio, in pratica uno al giorno. Un dato allarmante per l’Argentina che a livello latinoamericano è il terzo Paese – dopo Cile e Cuba – con meno assassinii. Il che delinea una tendenza, denunciata già da tempo dagli esperti: la nazione del Plata è “terra di conquista” del­le grandi organizzazioni di narcotrafficanti messicani. Il potente cartello di Sinaloa, pioniere nel Continente della produzione di droghe sintetiche, ha iniziato la penetrazione già da un decennio. Con l’obiettivo di importare, grazie alle blande leggi argentine, quei pre­cursori chimici indispensabile per la fabbricazione del­le “pasticche”. I messicani hanno scelto come roccaforte Rosario, posta alla fine della “Ruta 34”, storica via d’en­trata della coca boliviana, poi esportata in Europa con aerei e navi. Ormai, però, l’Argentina non è solo una Paese-trampolino. Insieme alle pasticche, anche la pol­vere bianca viene “trattata” in laboratori sparsi per il ter­ritorio.  La tragica prova è l’esponenziale aumento del consumo di “paco” nelle baraccopoli: gli scarti della la­vorazione della coca vengono smerciati per pochi spic­cioli nelle “villas miserias”, approfittando della dispe­razione di tanti. La Chiesa, in prima linea nella lotta al­la droga, non si stanca di ripeterlo dal 2009, quando i preti delle periferie pubblicarono una nota denuncia. Lo stesso papa Francesco, da arcivescovo di Buenos Aires, ha fatto molti interventi sul tema.  A marzo, la Conferenza episcopale argentina ha rin­novato le sue preoccupazioni, chiedendo «misure ur­genti contro il narcotraffico». Che ha messo radici fa­vorito dal rifiuto dello Stato di ammettere il problema. Fino a dominare il territorio ed “importarvi” le sue tec­niche brutali. Il presidente della Commissione epi­scopale per la Pastorale sociale, monsignor Jorge Lo­zano, ha visto nei linciaggi – duramente condannati «perché si preferisce la roba alla vita umana» – il segno brutale dell’esasperazione dei cittadini di fronte alla «mancanza di risposte» dalla giustizia. Alla fine, a metà febbraio, il ministro della Difesa, Agustín Rossi, ha ri­conosciuto l’allarme. E, ora, Scioli ha lanciato il piano di emergenza. «La chiave non è la repressione ma la pre­venzione – ha detto padre Juan Carlos Molina, capo del dipartimento su droga e narcotraffico –: con inve­stimenti in centri educativi, sportivi e terapeutici».
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