venerdì 18 settembre 2009
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È il prezzo di una tragedia, una seconda Nasiriyah. Da ieri questa è la misura dell’impegno italiano in Afghanistan.Arduino Paniccia, docente di Studi strategici all’università di Trieste, cosa hanno voluto dimostrare i taleban colpendo i due blindati italiani nel centro di Kabul? Quale il segnale politico?Prima di tutto un segnale a Karzai per dimostrare che il governo è instabile e non riesce a proteggere il territorio. Un attentato anche per separare gli alleati creando una spaccatura fra gli afghani, gli americani e gli altri Paesi della Nato. Hanno voluto colpire il governo attraverso un alleato come l’Italia che aveva affermato la sua volontà di restare in Afghanistan. E anzi, negli ultimi tempi, ha aumentato il suo contributo specifico come dimostra l’impegno dei nostri carabinieri che da pochi giorni supportano la polizia afghana nel lavoro di intelligence. Obiettivi concatenati, ma con l’intenzione di dare una spallata a Karzai.La strage di ieri pone interrogativi sulla strategia avuta, ma anche sul senso stesso della missione. Perché restare in Afghanistan?L’aggiustamento della strategia è una necessità sotto gli occhi di tutti, ma l’abbandono non porterebbe a nessun risultato. È pericoloso da un punto di vista militare perché, come si insegna in strategia, è più pericoloso abbandonare una posizione che entrarvi. Se adesso tagliano i nasi immaginiamoci cosa succederebbe in un Afghanistan abbandonato. Sarebbe una sconfitta comunque, mentre bisogna capitalizzare i risultati già ottenuti: i terroristi di al-Qaeda non spadroneggiano più liberamente in quello che era uno Stato fallito, si sono comunque svolte, sia pure con molte riserve, delle elezioni, si è ripresa una parte dell’attività economica dove l’Italia potrebbe avere un ruolo fondamentale. E poi occorre dare una sveglia alle Nazioni Unite che oltre alle statistiche sull’oppio devono iniziare a elaborare una strategia parallela a quella militare. L’abbandono è solo una soluzione emotiva, mentre la pace non si può cercare fuggendo.Una strategia parallela, ossia una nuova politica. Quali le innovazioni concrete?Non si può fare a meno di notare come in Iraq le forze americane sono uscite dal pantano facendo alcune scelte che, adattate al contesto afghano molto differente, dovrebbero essere ripetute. Il generale Petraeus non ha certo fatto felici gli sciiti al governo in Iraq arruolando 100mila ex miliziani baathisti (sunniti e filo-Saddam Hussein), ma lo ha fatto lo stesso. Innovazioni che vanno fatte anche in Afghanistan, e se Karzai non è completamente d’accordo è necessario che lo diventi al più presto. Ci sono poi gli strumenti economici molto male utilizzati in Afghanistan. L’obiettivo militare della stabilizzazione del territorio deve servire all’obiettivo dell’apertura di tavoli negoziali anche con i grandi attori regionali come Cina e Pakistan. In sintesi: nuova strategia, scala più ampia di relazioni, grande enfasi economica, nuove alleanze. Se alcuni episodi recano un enorme dolore, certi impegni internazionali vanno comunque mantenuti.Una "irachizzazione" dell’Afghanistan: ma quando sarà concluso l’iter elettorale, come trovare a Kabul un interlocutore politico affidabile?Solamente con una coalizione. Karzai deve pensare al futuro in termini meno personali, cercando alleanza fra i cosiddetti "taleban moderati" e fra le etnie marginali rappresentate da Abdullah. Karzai, con il 54% dei consensi in elezioni dove ha votato solo il 38%, rappresenta una minoranza e deve convincersi a cercare una maggioranza. È ora di un cambio di passo e, se occorre, essere molto duri: non si possono avere sacrifici di sangue e poi lasciare che dilaghino corruzione e oppio.Una determinazione che potrebbe richiedere un maggiore impiego di uomini?Assolutamente sì. Come in Iraq occorre maggiore capacità militare, di intelligence e contributi per la cooperazione.
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