venerdì 10 marzo 2023
Gli arsenali dell’Europa sono ormai stati prosciugati
Anche con gli invii di altre bombe il potenziale di Mosca resta superiore
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Barbara e spietata, la guerra d’Ucraina fagocita uomini e armi, al punto che i due belligeranti starebbero raschiando il fondo del barile. Jens Stoltenberg non nasconde i timori: « Kiev sta prosciugando i nostri magazzini». « Brucia proiettili molto più velocemente di quanti ne produciamo». I soli obici da 155 millimetri sparano al fronte fra i 5mila e i 6mila colpi al giorno. Nemmeno gli americani reggono il ritmo. Hanno già fornito agli ucraini più di un milione di proiettili. Allarmati dal calo delle scorte, hanno ammonito Kiev, recapitando un messaggio inequivocabile: «le forniture non saranno infinite».

Prima della guerra, gli Usa riuscivano a produrre 14.400 colpi al mese, che ai ritmi ucraini equivalgono a meno di tre giorni di fuoco. In futuro, puntano ad arrivare al traguardo di 90mila proiettili al mese, coinvolgendo nella produzione altri stabilimenti pubblici e due colossi privati. Di più non possono fare. Hanno un limite di macchine utensili, insufficienti. Ecco perché si sta muovendo anche l’Ue, con i suoi 250mila proiettili promessi a Kiev. Ma tra il dire e il fare. I Paesi europei non hanno riserve strategiche. Nel ventennio di guerra al terrorismo, hanno snellito eserciti e chiuso filiere produttive. Reggerebbero uno scontro ad alta intensità, simile a quello in corso in Ucraina, per non più di 10 giorni. I loro depositi sono esausti dai continui invii a Kiev. Berlino si è già privata di 18.500 granate e nel breve periodo non potrà andare oltre 1.020 colpi. Anche Londra ha deto fondo alle riserve.


Il problema è grave, anche perché i centri ucraini di stoccaggio sono bersaglio costante dei raid russi. Più si riempiono, più Mosca si affanna a bombardarli. Al fronte, comincia ad avere qualche problema pure l’Armata Rossa. Riesce ancora a sopraffare Kiev per volumi di fuoco. Ma lo fa meno intensamente che in passato.


Mesi fa si permetteva il lusso di sparare 15-20 mila colpi al giorno, oggi arriva a malapena a 10mila. Per l’intelligence anglosassone, sarà presto a corto di munizioni. Ripiegherà allora su proiettili meno efficienti, riesumati dagli scaffali sovietici, con strati di polvere vecchi di quarant’anni. Aumenteranno gli inconvenienti tecnici, con colpi che non partiranno a comando, munizioni che non esploderanno sull’obiettivo e armi guidate che si faranno meno precise.
Ma è meglio diffidare delle stime statunitensi e britanniche, spesso fuorvianti. C’è chi la pensa infatti diversamente. Il colonnello Margo Grosberg, che comanda l’intelligence militare estone, è uno di questi. L’ufficiale baltico si è fatto due conti: «Non importa quanto i russi aumenteranno la cadenza produttiva.

La matematica suggerisce che hanno ancora 10 milioni di granate in pancia. Possono guerreggiare a ritmi forsennati per un altro anno ancora, forse di più». Come se non bastasse, le fabbriche russe stanno girando a pieno ritmo. Da novembre, gli stabilimenti degli Urali e della Siberia sono in regime di economia bellica, con tre turni quotidiani di 8 ore l’uno. Non si fermano mai. Producono più di 3,4 milioni di munizioni l’anno. E Mosca può contare anche sulle forniture esterne dei suoi alleati, bielorussi, iraniani e nordcoreani. Purtroppo in Ucraina non tira aria di pace.
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