mercoledì 29 dicembre 2010
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Fra rivendicazioni inquietanti, schieramenti massicci di forze dell’ordine e una tensione sempre palpabile, è salito il bilancio della spirale di violenze che ha insanguinato il Natale nel cuore geografico della Nigeria: quello Stato del Plateau ritrovatosi ancora una volta sulla più nera ribalta internazionale.Secondo la Nema, l’agenzia governativa federale specializzata nella gestione delle emergenze, la nuova raffica di attentati della vigilia di Natale ha provocato in tutto, soprattutto nel Plateau ma anche più a Nord, almeno 86 morti e 189 feriti, in larga maggioranza cristiani. L’agenzia ha precisato di basarsi solo su informazioni ospedaliere e dunque potrebbe trattarsi di un bilancio ancora parziale. Sulla scia di orrore si posa adesso l’ombra di un gruppo terrorista di matrice islamica che ha rivendicato le violenze via Internet.«Popolo devoto agli insegnamenti del Profeta per la propagazione della Jihad»: questa la traduzione più accreditata del nome in calce di un comunicato dai toni esaltati: «O nazioni del mondo, sappiate che gli attacchi di Suldaniyya (Jos) e Borno sono stati compiuti da noi, Jamàatu Ahlus-Sunnah Liddà Awati Wal Jihad, sotto la direzione di Abu Muhammad, Abubakar bin Muhammad Shekau». Potrebbe trattarsi dei già famigerati integralisti della setta Boko Haram, istigatori l’anno scorso di una sollevazione dagli effetti devastanti, o di un gruppo comunque vicino alla setta. Quest’ultima, in effetti, aveva annunciato di voler assumere lo stesso nome adesso al centro di tutte le verifiche. Ma la prudenza s’impone, sottolineano diversi esperti, tanto è complesso il coacervo di gruppi e moventi che da anni tengono alto il livello della tensione lungo la “linea di faglia” etnico-religiosa che traversa da Est ad Ovest la Nigeria centrale.  Fra gli aspetti più inquietanti del comunicato, anche il fatto che esso sia proiettato verso il futuro. Si può infatti leggere che le ultime violenze «devono segnare l’inizio della vendetta dopo le atrocità commesse contro i musulmani nella regione e nell’intero Paese». Con l’annuncio di un’imminente prosecuzione della «vendetta». Come bersaglio, vengono citati «i miscredenti, i loro alleati e coloro che li aiutano». Le autorità potrebbero cominciare a trovare risposte più precise nella scia dei primi arresti annunciati ieri. Proprio a Jos, il capoluogo teatro dell’orrore, le forze dell’ordine hanno catturato tre uomini: due nigeriani e un ciadiano. Al momento dell’arresto, avvenuto nella zona di Dogon Dutse, si trovavano in possesso di bombe ed erano probabilmente in procinto di commettere un attentato presso una chiesa. Rispetto alla lunga scia di violenze del passato, quando la maggioranza degli assalti erano avvenuti con attrezzi agricoli e armi perlopiù rudimentali, suscitano in queste ore un’autentica ondata di costernazione tanto l’uso sistematico di bombe durante gli ultimi attentati, quanto la scelta della festività natalizia come momento degli attacchi. Secondo i vertici della polizia del Plateau, gli scontri poi innescati dagli attentati hanno opposto i “locali” e i “presunti coloni”. I berom, gruppo etnico prevalentemente cristiano, sono in effetti tradizionalmente considerati come autoctoni. Non così per gli hausa e i peul, spesso riconosciuti come giunti in tempi più recenti dal Nord musulmano. Ma secondo un registro che pare confermarsi ancora una volta sotto la lente d’ingrandimento degli esperti, l’opposizione etnica fra i gruppi e il confronto religioso rappresenterebbero la superficie visibile di un conflitto più profondo e articolato per il potere, tanto politico quanto economico. Ad avvelenare da anni le relazioni sono fra l’altro il controllo e l’utilizzo delle terre, storico pomo della discordia in particolare fra gruppi di agricoltori e allevatori, così come la questione della rappresentazione nelle amministrazioni locali o ancora quella dell’accesso ai servizi pubblici. Ma se in passato la pluralità di religioni era stata già spesso utilizzata artatamente per alimentare tensioni, quanto visto nelle ultime ore rischia di divenire in ogni caso uno spartiacque dagli effetti imprevedibili. Anche in ragione delle ormai vicine scadenze elettorali federali, con le presidenziali in primavera e il delicatissimo processo di designazione dei candidati già entrato nel vivo.Dopo gli eccidi nello Stato del Plateau, in proposito, parole all’insegna della concordia sono giunte anche da parte di Goodluck Jonathan, subentrato quest’anno inizialmente come presidente ad interim e poi confermato alla guida della Federazione nigeriana dopo il decesso di Umaru Yar’Adua, a lungo agonizzante. Per Jonathan, sono adesso giorni decisivi in vista di una nuova candidatura che non pare affatto scontata per un uomo del Sud come lui, sostituitosi a un predecessore del Nord senza passare prima per le elezioni.
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