giovedì 23 settembre 2021
Obiettivo lo stop alle violenze e l'apertura di un negoziato che tenga conto delle forze democratiche e delle consistenti minoranze etniche. Ora i militari gestiscono il potere e le risorse economiche
L'effetto del bombardamento della città di Thanlang in Myanmar ad opera dei militari che hanno preso il potere. L'artiglieria ha distrutto 19 edifici e i soldati hanno ucciso un pastore battista

L'effetto del bombardamento della città di Thanlang in Myanmar ad opera dei militari che hanno preso il potere. L'artiglieria ha distrutto 19 edifici e i soldati hanno ucciso un pastore battista - Ansa/Epa

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Il 27 settembre sarà anche la volta del Myanmar apparire davanti all’Assemblea generale delle Nazioni Unite e lo farà con ogni probabilità ancora una volta con il volto e le parole di Kyaw Moe Tun, l’ambasciatore “licenziato” dal regime per la sua opposizione immediata al golpe militare del primo febbraio.

Al di là delle considerazioni e soprattutto delle decisioni che saranno anzitutto appannaggio del Consiglio di Sicurezza, le regole Onu non consentirebbero l’accoglienza di un sostituto se non entro qualche mese. Un tempo che potrebbe però essere determinante per il futuro del Myanmar, sia per la situazione di conflitto interno che va facendosi più intensa e brutale, sia per la crisi umanitaria che va delineandosi con già 260mila sfollati interni in una realtà pesantemente colpita dalla pandemia con poche tutele e ancor meno vaccini disponibili.

Infine, nuove prospettive potrebbero venire dalle pressioni internazionali e dai contatti in corso tra le potenze mondiali, soprattutto Cina, Usa e Russia, per delineare un cessate il fuoco che apra a una transizione in cui il Paese possa vedere al tavolo del negoziato sia le forze democratiche, sia le consistenti minoranze etniche, sia i militari che continuano a rivendicare non solo il potere ma anche diritti sulle risorse del paese e l’immunità per mezzo secolo di dittatura e, oggi, per oltre un migliaio di vittime civili oltre che per il genocidio dei Rohingya e la loro espulsione di fatto.

Determinante potrebbe essere anche l’azione dell’Onu. Per questo si è attivato il network internazionale “Alliance for a democratic Myanmar” ed è stata lanciata una petizione indirizzata all’Assemblea generale che già a giugno aveva condannato l’uso di una violenza indiscriminata e letale da parte dei militari: CLICCA QUI PER LEGGERE LA PETIZIONE

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