venerdì 13 giugno 2014
​Le truppe di Assad mirano a chiudere i punti di transito con la Turchia: il controllo della città è strategico. Polmone economico, da sempre è stata disputata da imperi e potenze commerciali. (Camille Eid)
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Sarebbe poco definirla la “madre di tutte le battaglie”. Quella di Aleppo può determinare non solo il futuro della guerra in Siria, ma anche quello degli equilibri regionali.  Chiusi quasi completamente i punti di transito dei ribelli con il Libano, l’esercito di Assad punta ora a chiudere quelli con la Turchia, da dove affluisce il grosso degli aiuti, a cominciare da Aleppo. Perdere i quartieri aleppini sotto il loro controllo significa per i ribelli che combattono nel Nord della Siria perdere la continuità territoriale e ritrovarsi tagliati in due tronconi: a ovest nella provincia di Idlib, a est in quella di Raqqa. Per tutti i belligeranti, Aleppo, oltre alla sua importanza come primo polo economico del Paese, ha anche ha una valenza simbolica: è qui che sono state decise le sorti di molti imperi. A pochi chilometri dalla metropoli, nella pianura di Marj Dabiq, è stata segnata, nel 1516, la supremazia in Oriente degli Ottomani per i successivi quattro secoli. È sempre qui che è fallito, negli anni Venti e grazie alla dura opposizione di leader nazionalisti di Aleppo, Saadallah al-Jabiri e Ibrahim Hanano, il progetto francese di smembramento della Siria in diversi staterelli: Damasco, Aleppo, Stato alauita e Gebel druso. 'La Grigia', come la chiamano gli arabi, è stata mille volte ambita dagli eserciti, che talvolta l’hanno anche distrutta, ma essa risorgeva sempre come attivo centro di scambi in virtù della sua posizione all’incrocio di strade che collegano la Turchia all’Egitto e l’Iraq al Mediterraneo.  Aleppo è da mille anni un importante crocevia mondiale. Il suo ruolo come centro di smistamento delle mercanzie provenienti dall’India fu sottolineato da molti viaggiatori medievali, arabi e occidentali. Nel suo “Sollazzo per chi si diletta di girare il mondo”, più noto come “Il libro di Ruggero”, il geografo berbero al-Idrissi (1099-1165) parla di una città cinta da mura bianche «abitata da molta gente sulla via per l’Iraq e la Persia». Anche Zakaria al-Qazwini (1203-1283) parla nel suo “Cose notabili de’ paesi e notizie degli uomini” di una città fortificata «dai beni innumerevoli» in cui abbondano luoghi di culto delle diverse fedi, soffermandosi sulle «curiosità e meraviglie» del mercato del vetro.  Nel Duecento, sotto i successori del Saladino, Aleppo era meta privilegiata di Pisani e Genovesi, che raggiungevano la città da Antiochia, mentre i Veneziani stipularono con i sultani ayyubidi vari trattati che concedevano loro garanzie per le loro proprietà, un fondaco, una chiesa e un bagno. Anche per questo la Serenissima cercherà, in seguito alla caduta del regno crociato, di aggirare la proibizione papale di intrattenere scambi commerciali con l’impero musulmano. Ricco di particolari il resoconto di Ibn Battuta (1304-1369) che ci dipinge nella sua “Rihla” una prospera Aleppo «sopravvissuta ai suoi sovrani, bella come una sposa, e che non invecchierà mai». Tutti i suoi monumenti – fa notare il Marco Polo degli arabi – tradiscono una raffinata architettura, dalla Grande moschea al rinomato maristan (ospedale), alle tre scuole. Nel corso del XV secolo, la via che toccava Aleppo divenne per Venezia l’unica per raggiungere il cuore dell’Asia. Questo scalo del Levante è allora uno dei maggiori centri di esportazione della seta e del cotone, considerati tra i migliori del mondo. Accanto ai mercanti veneziani (che vi facevano affari per 2-3 milioni di ducati l’anno) vi si trovano altri europei: marsigliesi, catalani, inglesi, tedeschi, tanto che Venezia decise, nel 1548, di aprirvi un proprio «consolato di Soria». Da lì a pochi anni sarà seguita da altri Stati europei.
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