sabato 28 marzo 2009
Dato che la presenza di chi segue il magistero varia da Paese a Paese, come diversa è la percentuale delle persone malate, si dovrebbe notare una correlazione positiva se le accuse fossero vere. In realtà, si riscontra una correlazione negativa piuttosto forte. «Decisiva anche la presenza assistenziale della Chiesa» Ieri l’ultimo attacco a Benedetto XVI dalla rivista «Lancet»: falsità scientifiche con conseguenze devastanti per milioni di persone Ma i dati sembrano andare in direzione totalmente opposta
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L’ultima in ordine di tempo è stata la rivista medica britan­nica The Lancet, che – a pro­posito dell’efficacia del preservativo nel­la prevenzione dell’Aids – in un edito­riale diffuso ieri ha duramente attacca­to il Papa accusandolo di «falsità scien­tifiche » che potrebbero avere «conse­guenze devastanti per la salute di mi­lioni di persone». Anche se colpisce la vi­rulenza dell’attacco da parte di una ri­vista che pure, in passato, ha ospitato studi e analisi che avanzavano dubbi sul preservativo come «soluzione» all’Aids, l’argomento non è certo nuovo e in que­ste settimane è stato sbandierato ripe­tutamente da scienziati, politici, capi di governo. Del resto, già nell’aprile 2005 sulle co­lonne del giornale britannico The Guar­dian si leggeva che «con il suo divieto del preservativo, la Chiesa sta provocando milioni di morti nelle zone dominate dai missionari, in Africa e nel resto del mondo». Come sempre, però, chi lan­cia queste accuse omette di portare e­sempi concreti a sostegno di questa te­si. Eppure, dovrebbe essere abbastanza semplice verificarne l’esattezza: sicco­me la presenza dei cattolici nei Paesi a­fricani varia molto da Paese a Paese, e altrettanto varia è la diffusione dell’Aids, se certe accuse fossero vere si dovrebbe riscontrare una più alta prevalenza del­l’infezione nei Paesi dove maggiore è la presenza cattolica. Come i dati pubbli­cati a fianco segnalano efficacemente, però, non solo tale relazione è smenti­ta dalla realtà, ma addirittura si nota co­me a un’alta percentuale di cattolici nel Paese si correli a un inferiore tasso di in­fezioni. La presenza cattolica non è certo l’uni­co fattore che mantiene bassa la diffu­sione dell’Aids (fenomeno che si ri­scontra anche in alcuni Paesi a mag­gioranza islamica, senza contare il con­tributo di importanti elementi sociali, culturali ed economici), ma certamen­te nel suo insieme i dati reali dimostra­no che laddove si vive un’esperienza di Chiesa si hanno conseguenze positive anche nella lotta all’Aids. Un fatto che è stato riconosciuto anche dall’UnAids (l’organismo delle Nazioni Unite che si occupa della lotta a questa epidemia) che infatti dal 1999 ha voluto siglare un memorandum d’intesa con Caritas In- ternationalis – tuttora in vigore –, rico­noscendo l’efficacia del lavoro della Chiesa nel «promuovere la consapevo­lezza del problema, soprattutto tra i gio­vani, nella prevenzione di nuove infe­zioni, sostenere i diritti di coloro che so­no malati, promuovere l’accesso all’as­sistenza e alle terapie, eliminare le di­scriminazioni contro i malati a tutti i li­velli della società». In effetti, i motivi dell’influenza positi­va della Chiesa nella prevenzione del­l’Aids vanno ben oltre la tendenza dei cattolici a seguire gli insegnamenti mo­rali del magistero. Gli strumenti princi­pali con cui si manifesta l’attenzione al­l’integralità e alla dignità della persona umana caratteristica dell’esperienza cattolica sono infatti il lavoro educati­vo e sanitario, servizi che sono aperti a tutti, cattolici e non. Non a caso la stes­sa UnAids riconosce che nel mondo il 26% delle strutture sanitarie sono ge­stite da organizzazioni cattoliche. E nell’Uganda spesso citata a modello nella lotta all’Aids (vedi articolo sotto), le organizzazioni cattoliche gestiscono 27 ospedali (un quarto del totale), 220 unità sanitarie di primo livello e 12 scuo­le infermieri, mantenendo – secondo il Journal of Medicine and the Person – «un ruolo decisivo nell’erogazione sia dei servizi di base che di alta specializza­zione tramandando un prezioso ethos professionale e una cultura di servizio». Non basta, perché – come ha spiegato tempo fa all’agenzia Svipop.org il dot­tor Giuliano Rizzardini, che vanta una lunga esperienza in Africa nella lotta al­l’Aids – il punto di forza della Chiesa sta nella «presenza»: «C’è una concezione in Occidente – diceva Rizzardini – per cui, ad esempio, si mandano i farmaci e tutto si risolve. Invece non è così. Le terapie farmacologiche funzionano se sono all’interno di un contesto educa­tivo, che come condizione ha la pre­senza. È per questo che la rete dei mis­sionari coglie successi anche dal punto di vista sanitario».
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