mercoledì 1 settembre 2021
Il fuoco delle critiche per il ritiro finirà per spegnersi presto. E il Paese nel caos potrebbe essere la polpetta avvelenata di Washington per i rivali Russia e Cina
Il presidente Joe Biden ha parlato di nuovo alla nazione martedì

Il presidente Joe Biden ha parlato di nuovo alla nazione martedì - Reuters

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La missione in Afghanistan è conclusa. Il day after di Joe Biden si apre con un giorno di anticipo fra l’esultanza dei taleban, il ringhio minaccioso del Daesh, il lamento delle migliaia di afghani rimasti in trappola, l’orizzonte oscuro che si schiude sulle speranze di chi si sente ora abbandonato nelle mani di un regime intollerante e fanatico, il cordoglio per le migliaia di vittime civili e militari disseminate nel corso di una guerra durata vent’anni e sprofondata nella palude della sconfitta. Mai addio alle armi fu più tragico e umiliante. Non nel 1953 con l’armistizio di Panmunjon fra le due Coree che segnò i limiti della potenza americana, né nel 1975 con l’icastica immagine dell’elicottero che abbandonava l’ambasciata americana a Saigon. Ma il day after del presidente americano, ancorché scandito dall’ultimo C-17 che si è alzato in volo dall’aeroporto Karzai di Kabul e dal ritorno in patria dell’ex capo della sicurezza di Osama Benladen, è già proiettato nel futuro. E il futuro – può essere cinico e tragico insieme doverlo ammettere – guarda già all’Afghanistan come un reperto del passato. Le sfide per la Casa Bianca sono altre. E si chiamano Cina, Russia, India. È attorno a queste tre potenze – Pechino in testa – che Biden, il Pentagono, il segretario di Stato Blinken volgono lo sguardo, sapendo che è in Asia che si giocherà la grande partita fra le superpotenze, fra Washington e i cinesi, con il contorno di altri attori di non minore importanza, come la Russia ed altri ancora, come la Turchia, il Pakistan, l’Iran altrettanto strategicamente indispensabili per il controllo della regione. Una regione che, non dimentichiamolo, con il commiato degli ultimi marines e del personale civile si trova per la prima volta completamente priva dell’ombrello militare americano. Non a caso giusto ieri la Cina (che insieme alla Russia si è astenuta sulla risoluzione Onu) sentenziava: «La storia dell’Afghanistan ha aperto una nuova pagina. La politica di intervento militare sfrenato e di imposizione dei propri valori e sistemi sociali in altri Paesi è irrealizzabile ed è destinata al fallimento». Ed è sulla Cina che si concentra l’attenzione di Washington. Sui mari che la flotta cinese ora contende a Giappone e Stati Uniti, sulle isole artificiali nel Mar Cinese meridionale che Pechino ha creato negli ultimi anni a visibilissima vocazione militare, delimitano acque territoriali e zone di rispetto che un tempo non esistevano e che si spingono a ridosso delle coste del Vietnam, delle Filippine, della Malesia, del Brunei. E soprattutto di Taiwan, la provincia cinese che Pechino considera irredenta. Ma i messaggi di Pechino godono sempre di molteplici interpretazioni. Il biasimo nei confronti dell’America si mescola alla preoccupazione attorno a un Afghanistan che nei piani cinesi rischia di non essere più l’eccellente partner commerciale che si prospettava; le terre rare afghane, di cui la Cina è produttore e manipolatore mondiale, rischiano di rimanere dove sono: una nazione nel caos, probabile santuario del jihadismo asiatico è una manciata di sabbia negli occhi di Pechino. Anche per questo Washington e Pechino continuano a parlarsi. L’ora più buia di Biden – è il parere di molti – è destinata a passare presto, il fuoco delle critiche, la richiesta stessa di dimissioni o di impeachment dei repubblicani finirà per spegnersi in breve tempo. E forse diverrà più chiaro ciò che già si intravede fra le righe: il fatto che il ritiro dall’Afghanistan è a suo modo l’ultima velenosa mossa del Great Game, un lascito pesante e oneroso per i grandi vicini – Cina e Russia in testa, soprattutto quest’ultima per il vasto serbatoio delle ex repubbliche sovietiche di fede islamica – che ora si trovano a doversi confrontare con una nazione poverissima la cui unica vera ricchezza sono i terroristi, di cui da sempre abbonda. Se così fosse – ed è verosimile pensarlo – “Sleepy Joe” Biden avrebbe lasciato in mano ai suoi avversari una mina a tempo. Una trappola, degna dell’epica stagione del Grande Gioco.

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