Afd, la Germania e noi: ecco perché questo caso ci riguarda
di Paolo Borgna
La forma di democrazia «protetta» ha una ragione storica ineccepibile. Eppure anche Togliatti in Italia a chi gli chiedeva di mettere il Msi fuorilegge diceva: non potete abrogare milioni di elett

La proposta, che sta scuotendo la Germania, di mettere fuorilegge Alternative für Deutschland si basa sulla “Legge fondamentale” scritta e approvata nel 1949 non da un’Assemblea eletta a suffragio universale ma da un “Consiglio parlamentare” composto da 70 delegati scelti dai membri dei ricostituiti Länder della Germania occidentale. La dignità dell'uomo è intangibile. È dovere di ogni potere statale rispettarla e proteggerla, recita l’art. 1 di quella Legge fondamentale. E, come sviluppo di tale solenne premessa, l’art. 21 prevede l’incostituzionalità dei partiti che per le loro finalità o per il comportamento dei loro aderenti si prefiggano di attentare all’ordinamento costituzionale democratico liberale, o di sovvertirlo, o di mettere in pericolo l’esistenza della Repubblica federale tedesca.
Bizzarrie della Storia: furono gli Alleati e segnatamente gli Stati Uniti a dare forte impulso ai lavori del “Consiglio parlamentare” tedesco. E, oggi, è l’establishment del presidente degli Stati Uniti a dare vistoso sostegno ad Afd e a bollare come «tirannia mascherata» il rapporto dell’Ufficio federale per la protezione della Costituzione che mette sotto accusa il partito di Alice Weidel.
La domanda che eternamente ritorna è sempre la stessa: come può una democrazia difendersi da coloro che ne mettono in discussione i principi fondamentali?
L’idea di democrazia che sta dietro l’art. 21 della Legge fondamentale è stata definita «protetta e armata». Per spiegarne le ragioni bastano quattro parole: Weimar, ascesa del nazismo. Per comprenderne la portata è bene ricordare che fu proprio in base all’art. 21 che nel 1956 la Corte costituzionale federale tedesca di Karlsruhe sciolse il partito comunista tedesco che alle elezioni politiche del 1949 aveva ottenuto il 5,7% dei voti. Tale decisione fu confermata il 17 agosto 1956 dalla Commissione Europea dei diritti dell’uomo che ritenne che gli obiettivi del partito non fossero compatibili con la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo.
Molto meno «protetta ed armata» è l’idea che sorregge la nostra Costituzione, non a caso scritta da un’Assemblea, eletta direttamente dal popolo, i cui lavori costituirono il confronto parlamentare più ampio, profondo e proficuo della nostra storia. E ciò fu possibile – non dimentichiamolo mai – grazie all’apporto, riconosciuto dagli Alleati, che la Resistenza diede alla liberazione dell’Italia.
La nostra è, senza alcun dubbio, una Costituzione antifascista. Lo disse Aldo Moro nel celebre intervento con cui (il 13 marzo 1947) si rivolse al monarchico Roberto Lucifero che aveva detto che la Costituzione doveva essere «afascista»: non possiamo in questo senso fare una Costituzione afascista, cioè non possiamo prescindere da quello che è stato nel nostro Paese un movimento storico di importanza grandissima il quale nella sua negatività ha travolto per anni le coscienze e le istituzioni. Non possiamo dimenticare quello che è stato, perché questa Costituzione emerge oggi da quella resistenza, da quella lotta, da quella negazione, per le quali ci siamo trovati insieme sul fronte della resistenza e della guerra rivoluzionaria. E, se si avessero ancora dubbi, si vada a rileggere la colta e appassionata discussione che animò l’approvazione della XII disposizione finale della Costituzione che vieta la «riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista». Dove, di fronte ad un atteggiamento più severo di Dossetti e La Pira nel pretendere requisiti di «democraticità» per i partiti, furono i comunisti Togliatti e Marchesi ad assumere una posizione più «liberale»
e ad insistere perché, al di là del «disciolto» partito fascista, la libertà di costituire un partito fosse sostanzialmente incondizionata. Non c’è bisogno d’essere molto maliziosi per comprendere la preoccupazione che ispirava la posizione dei comunisti. Lo disse, apertamente, Concetto Marchesi quando spiegò che «oggi la dittatura di una classe non è certo lo sbocco finale del programma politico dei comunisti» ma che c’era il rischio che in futuro, utilizzando una norma nata contro il fascismo, qualcuno avrebbe potuto «mettere fuorilegge il partito comunista». E non fu un caso che, nel 1952, i comunisti votarono contro la legge Scelba; e al Senato il no fu motivato da Walter Audisio (il mitico “Colonnello Valerio”, che per anni fu ritenuto l’esecutore della condanna a morte di Mussolini). Dunque, la nostra Costituzione dice che ai partiti si richiede semplicemente una «lealtà di comportamento». Aggiunge, implicitamente (questo è il senso vero della XII Disp.) che, per un partito o movimento fascista, la slealtà è presunta una volta per tutte, sulla base della Storia.
Ma, una volta posto questo paletto, i costituenti, nel prevedere la libertà di costituzione dei partiti, ebbero in mente un progetto di «democrazia aperta» che, oltre alla «lealtà di comportamento», non richiede adesione a tutti i valori della Costituzione. Soltanto questa idea di democrazia aperta può spiegare come, per i primi tre decenni della repubblica, sia stato presente in parlamento, senza alcuna reale contestazione, il Partito nazionale monarchico che si proponeva la restaurazione della monarchia, in evidente contraddizione con l’art. 139 (la forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale).
Quando, dopo la strage di Brescia del 1974, molti di noi, allora ventenni, sostenevamo la campagna “Msi fuorilegge”, i vecchi comunisti, cresciuti alla scuola di Togliatti, ci rispondevano: «Potete abrogare un partito ma non milioni di elettori».
Chissà quante volte i sostenitori della messa fuorilegge di Afd si sentiranno rivolgere la stessa risposta. La democrazia tedesca è un bene prezioso per tutta l’Europa. Il dibattito che si sta aprendo in questi giorni a Berlino riguarda tutti noi.
Bizzarrie della Storia: furono gli Alleati e segnatamente gli Stati Uniti a dare forte impulso ai lavori del “Consiglio parlamentare” tedesco. E, oggi, è l’establishment del presidente degli Stati Uniti a dare vistoso sostegno ad Afd e a bollare come «tirannia mascherata» il rapporto dell’Ufficio federale per la protezione della Costituzione che mette sotto accusa il partito di Alice Weidel.
La domanda che eternamente ritorna è sempre la stessa: come può una democrazia difendersi da coloro che ne mettono in discussione i principi fondamentali?
L’idea di democrazia che sta dietro l’art. 21 della Legge fondamentale è stata definita «protetta e armata». Per spiegarne le ragioni bastano quattro parole: Weimar, ascesa del nazismo. Per comprenderne la portata è bene ricordare che fu proprio in base all’art. 21 che nel 1956 la Corte costituzionale federale tedesca di Karlsruhe sciolse il partito comunista tedesco che alle elezioni politiche del 1949 aveva ottenuto il 5,7% dei voti. Tale decisione fu confermata il 17 agosto 1956 dalla Commissione Europea dei diritti dell’uomo che ritenne che gli obiettivi del partito non fossero compatibili con la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo.
Molto meno «protetta ed armata» è l’idea che sorregge la nostra Costituzione, non a caso scritta da un’Assemblea, eletta direttamente dal popolo, i cui lavori costituirono il confronto parlamentare più ampio, profondo e proficuo della nostra storia. E ciò fu possibile – non dimentichiamolo mai – grazie all’apporto, riconosciuto dagli Alleati, che la Resistenza diede alla liberazione dell’Italia.
La nostra è, senza alcun dubbio, una Costituzione antifascista. Lo disse Aldo Moro nel celebre intervento con cui (il 13 marzo 1947) si rivolse al monarchico Roberto Lucifero che aveva detto che la Costituzione doveva essere «afascista»: non possiamo in questo senso fare una Costituzione afascista, cioè non possiamo prescindere da quello che è stato nel nostro Paese un movimento storico di importanza grandissima il quale nella sua negatività ha travolto per anni le coscienze e le istituzioni. Non possiamo dimenticare quello che è stato, perché questa Costituzione emerge oggi da quella resistenza, da quella lotta, da quella negazione, per le quali ci siamo trovati insieme sul fronte della resistenza e della guerra rivoluzionaria. E, se si avessero ancora dubbi, si vada a rileggere la colta e appassionata discussione che animò l’approvazione della XII disposizione finale della Costituzione che vieta la «riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista». Dove, di fronte ad un atteggiamento più severo di Dossetti e La Pira nel pretendere requisiti di «democraticità» per i partiti, furono i comunisti Togliatti e Marchesi ad assumere una posizione più «liberale»
e ad insistere perché, al di là del «disciolto» partito fascista, la libertà di costituire un partito fosse sostanzialmente incondizionata. Non c’è bisogno d’essere molto maliziosi per comprendere la preoccupazione che ispirava la posizione dei comunisti. Lo disse, apertamente, Concetto Marchesi quando spiegò che «oggi la dittatura di una classe non è certo lo sbocco finale del programma politico dei comunisti» ma che c’era il rischio che in futuro, utilizzando una norma nata contro il fascismo, qualcuno avrebbe potuto «mettere fuorilegge il partito comunista». E non fu un caso che, nel 1952, i comunisti votarono contro la legge Scelba; e al Senato il no fu motivato da Walter Audisio (il mitico “Colonnello Valerio”, che per anni fu ritenuto l’esecutore della condanna a morte di Mussolini). Dunque, la nostra Costituzione dice che ai partiti si richiede semplicemente una «lealtà di comportamento». Aggiunge, implicitamente (questo è il senso vero della XII Disp.) che, per un partito o movimento fascista, la slealtà è presunta una volta per tutte, sulla base della Storia.
Ma, una volta posto questo paletto, i costituenti, nel prevedere la libertà di costituzione dei partiti, ebbero in mente un progetto di «democrazia aperta» che, oltre alla «lealtà di comportamento», non richiede adesione a tutti i valori della Costituzione. Soltanto questa idea di democrazia aperta può spiegare come, per i primi tre decenni della repubblica, sia stato presente in parlamento, senza alcuna reale contestazione, il Partito nazionale monarchico che si proponeva la restaurazione della monarchia, in evidente contraddizione con l’art. 139 (la forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale).
Quando, dopo la strage di Brescia del 1974, molti di noi, allora ventenni, sostenevamo la campagna “Msi fuorilegge”, i vecchi comunisti, cresciuti alla scuola di Togliatti, ci rispondevano: «Potete abrogare un partito ma non milioni di elettori».
Chissà quante volte i sostenitori della messa fuorilegge di Afd si sentiranno rivolgere la stessa risposta. La democrazia tedesca è un bene prezioso per tutta l’Europa. Il dibattito che si sta aprendo in questi giorni a Berlino riguarda tutti noi.
© RIPRODUZIONE RISERVATA





