sabato 8 febbraio 2025
Tshsekedi farà solo un video collegamento. L’inviato ruandese al Consiglio Onu per i diritti umani: «Preparano un’invasione». Il Guardian: in Nord Kivu morti centinaia di soldati ruandesi
Il presidente della Repubblica democratica del Congo non andrà al vertice in Tanzania in cui avrebbe dovuto incontrare il omologo del Ruanda, Paul Kagame

Il presidente della Repubblica democratica del Congo non andrà al vertice in Tanzania in cui avrebbe dovuto incontrare il omologo del Ruanda, Paul Kagame - Reuters

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Doveva essere il faccia a faccia decisivo per sbloccare le relazioni tra Repubblica democratica del Congo e Ruanda, che combattono indirettamente nella regione congolese di confine lungo il lago Kivu. Ma il presidente congolese Félix Shisekedi ha rinunciato a partire per il vertice di Dar Es Salaam, in Tanzania, inviando al suo posto la premier Judith Suminwa. Si limiterà a fare un video collegamento. Una mossa che equivale al rifiuto di incontrare l'omologo ruandese, Paul Kagame. Uno smacco nei confronti della presidenza kenyana del summit straordinario congiunto della Comunità dell'Africa orientale (Eac), che ospita, e della Comunità di sviluppo dell'Africa meridionale (Sadc). Al centro del vertice, apertosi ieri nella capitale commerciale della Tanzania (la capitale, dal 1974, è Dodoma) c'è proprio la guerra che agita le regioni nord-orientali della Repubblica democratica del Congo e che vede contrapposti i ribelli del Movimento 23 marzo (M23), sostenuti finanziariamente e militarmente dal vicino Ruanda, al governo di Kinshasa, che Kigali accusa di ospitare e proteggere a sua volta le Forze democratiche di liberazione del Ruanda espressione di quel "potere hutu" responsabile del genocidio dei tutsi (oggi etnia al potere) del 1994.

In apertura del vertice, convocato a livello di capi di stato e di governo, il presidente William Ruto del Kenya ha invitato «tutte le parti a mettere in atto il cessate il fuoco e in particolare l'M23 a fermare l'ulteriore avanzata e le forze armate della Repubblica democratica del Congo a cessare tutte le misure di ritorsione».

In una nota diplomatica inviata alla presidenza kenyana del summit, gli Stati Uniti hanno chiesto al Ruanda di «ritirare le sue forze armate» dal Congo e minacciato sanzioni a «militari e funzionari governativi di entrambi i governi».

Della crisi nella regione africana dei Grandi Laghi si è parlato anche ieri a Ginevra. Al termine di una sessione straordinaria in cui spiccava la postazione vuota degli Stati Uniti, appena usciti dall’organismo, il Consiglio Onu per i diritti umani ha accolto la proposta del Congo di avviare un’indagine sulle violenze avvenute nel Nord Kivu in seguito alla presa di Goma da parte dell’M23. L’inviato ruandese James Ngango, unica voce contraria su 47, ha sostenuto che il Congo ammassa le armi nell'est per sferrare un attacco massiccio al suo Paese. «Se non si fa nulla, potrebbe accadere di peggio agli abitanti dell'est della Repubblica Democratica del Congo, ma anche oltre i confini – ha ammonito il capo dell’agenzia Onu, Volker Turk –. Il rischio di escalation nella regione non è mai stato così alto». Il Consiglio non ha poteri vincolanti, però le sue indagini possono portare ad accuse per crimini di guerra. Un’inchiesta del britannico Guardian, che cita fonti d’intelligence e immagini satellitari, ha rivelato che in Congo sono stati uccisi centinaia di soldati ruandesi. L'ennesima smentita della posizione ufficiale di Kigali, che ammette solo di aver rafforzato la presenza militare sul confine per la propria sicurezza.

Mentre il capoluogo del Sud Kivu Bukavu è sempre più minacciato dall’avanzata dell’M23, il Burundi ha inviato un altro battaglione, il 16°, a supporto dell’esercito congolese. Sono oltre 10mila i militari del Burundi di stanza da un anno e mezzo in Congo. Nell’area è presente anche una missione di peacekeeping della Sadc, con militari sudafricani, tanzaniani e malawiani. Ma dopo l’uccisione di tre suoi soldati, oltre a 14 sudafricani, il Malawi ha annunciato il ritiro delle proprie truppe. Anche il presidente sudafricano Cyril Ramaphosa, invocando la pace, ha parlato di «ritorno a casa» dei sudafricani.

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