domenica 7 novembre 2010
Una studentessa a capo della polizia nella zona «calda». La giovane Marisol Valles ha accettato di comandare gli agenti a Práxedis nel Chihuahua: «Ho paura, però voglio lottare per migliorare la vita nella mia comunità». Nessuno voleva quel posto: era vacante dal 17 gennaio 2009 quando il responsabile era stato rapito e decapitato. Il Nord del Paese è in preda al caos: in quattro anni 30mila cittadini sono stati assassinati negli scontri tra bande di trafficanti e forze dell’ordine.
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«Lo so, sono in ritardo. Ma da tre settimane non riesco a fermarmi…». Marisol Valles García fa appena in tempo a pronunciare queste parole. Poi, si ferma, prende fiato e ride: «Eccomi, ma non mi faccia perdere troppo tempo che devo lavorare...» La sua voce è sottile e squillante. Come quella di una ragazzina. E, in effetti, lo è: Marisol ha vent’anni. Difficile immaginare che dall’altro capo del filo del telefono ci sia la donna «più coraggiosa del Messico», come l’ha definita la stampa locale. «Non lo sono affatto – dice la giovane Valles –, ma ho un sogno e non ho paura di impegnarmi per realizzarlo». Marisol desidera «che le famiglie tornino a passeggiare per i giardini pubblici, che i bambini vadano a scuola a piedi senza timore, che i ragazzi affollino le “taquerías” (l’omologo delle nostre pizzerie, solo si mangiano i tipici “tacos”), che i negozi restino aperti il pomeriggio».Aspirazioni semplici, quasi scontate. Almeno per chi non vive nel Nord del Messico, una terra “prisonera” (prigioniera) – come dicono i media – del feroce conflitto tra bande di narcotrafficanti (i cosiddetti cartelli) in lotta fra loro, per il controllo delle “piazze” di spaccio, e con le forze dell’ordine schierate dalla politica della mano dura del presidente Calderón. Marisol Valles abita nell’epicentro della “narco-guerra”: a Práxedis G. Guerrero, una cittadina di 10mila abitanti nello Stato di Chihuahua, a 80 chilometri da Ciudad Juárez, la città più violenta del Paese e del mondo. Da gennaio, sono state assassinate 2.710 persone, di cui 352 nel solo mese di ottobre. In media 9 al giorno: l’unica data senza morti ammazzati del 2010 è stata il 3 febbraio. Tanto che il sindaco, in un’ordinanza, ha dovuto proibire di «lasciare per strada i cadaveri» dei troppi delitti commessi. Crimini impuniti: nel 97 per cento dei casi, i colpevoli non vengono individuati. Difficile, in mezzo a questa “mattanza” infinita, credere nella giustizia, nelle istituzioni e, soprattutto, nei sogni. Marisol, però, lo fa. A tal punto che ha deciso di “giocarsi la vita” per realizzarli. Non è un modo di dire. Dal 18 ottobre, la ventenne è a capo della polizia municipale di Práxedis. Il posto era vacante dal 17 gennaio 2009, quando la testa mozzata del titolare, Manuel Castro, fu trovata di fronte al palazzo comunale. Aveva assunto l’incarico tre giorni prima. Da allora, nessuno aveva più voluto occupare quella scrivania: uno dopo l’altro, i candidati si erano defilati. Fin quando il sindaco, José Luis Guerrero, non si è ricordato della giovane Marisol, la studentessa di criminologia che, un anno fa, aveva lavorato come assistente del precedente comandante. «Il sindaco è venuto da me e mi ha chiesto: “Te la senti di gestire la polizia municipale?” – racconta – Ho risposto: “Sì, ma devo parlarne con la mia famiglia”. Mio marito mi ha ha detto: “Fallo. Per Práxedis e per nostro figlio”. In fondo, penso di aver accettato proprio per il mio piccolo». Marisol ha un bimbo di appena 7 mesi, «ma non posso dire come si chiama. Motivi di sicurezza….» «Voglio migliorare questa città per lui e per tutti gli altri bambini», aggiunge, senza enfasi, con l’accento dolce e cantilenante del Messico settentrionale. Lo stesso che ha utilizzato il 18 ottobre, giorno dell’insediamento, per spiegare il suo progetto. «Lavorare porta a porta con i cittadini per capirne le necessità. E mostrare loro che lo Stato è vicino». Appena poche ore prima, il segretario municipale di Práxedis – una sorta di vicesindaco – Rito Grado Serrano e suo figlio Rigoberto erano stati crivellati da una pioggia di proiettili. I narcos si accaniscono sulle istituzioni: da gennaio sono stati ammazzati 13 sindaci. L’ultimo, Jaime Lozoya Avila, primo cittadino di San Bernardo, è morto ieri, dopo aver subito un feroce pestaggio. Nemmeno questo ha fatto desistere Marisol. Un metro e cinquantacinque di statura, fisico minuto, capelli lunghi e occhiali, la ventenne si è infilata la divisa. E si è messa all’opera, aggiudicandosi il titolo di “prima eroina” della legalità, in un Paese in cui la cultura narco ha le sue canzoni, i narco-corridos, le sue icone femminili (la boss Sandra Avila Beltrán, alias “La regina del Pacifico”) e perfino un “santo protettore” (mai beatificato), Jesús Malverde. «Altro che eroina. Ho paura, eccome – dice –. Con questo lavoro, però, ho l’opportunità di migliorare la vita della mia comunità. La polizia municipale in Messico non combatte il crimine. Di questo si occupano gli agenti federali e statali. Noi dobbiamo prevenirlo». Marisol dirige una squadra di 13 poliziotti, di cui 11 donne. Tutte rigorosamente senz’armi. «Ci sono troppe pistole in Messico. Spaventano la gente – conclude –. Le undici poliziotte di Práxedis vanno casa per casa, organizzano corsi di formazione per ragazze madri o per adolescenti. O, ancora, cicli di letture in biblioteca e tornei di calcio. Per dimostrare alle persone, soprattutto ai ragazzi, che il narcotraffico non è l’unica strada possibile. I messicani possono scegliere di costruire per i loro figli un futuro lontano dalla violenza».
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