mercoledì 5 gennaio 2022
Mentre due terzi degli americani si aspettano «nuove violenze», Biden ricorderà domani «l’ora più buia della democrazia». Trump pronto a rilanciare l’accusa sul «voto rubato»
I sostenitori di Donald Trump, con al centro lo "sciamano Qanon" Jake Angeli, durante l'assalto al Congresso del 6 gennaio 2021

I sostenitori di Donald Trump, con al centro lo "sciamano Qanon" Jake Angeli, durante l'assalto al Congresso del 6 gennaio 2021 - Ansa

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Dov'era precipitata l'America, nelle ore convulse che avrebbero dovuto certificare la vittoria di Joe Biden e che videro invece l'inconcepibile assalto a Capitol Hill? E quale leader, in una democrazia matura, potrebbe ancora sognare il ruolo più ambito di tutti, dopo aver arringato quell'accozzaglia di suprematisti e cospirazionisti che violarono il Campidoglio con un «Non ci arrenderemo mai»? Eppure, dodici mesi dopo, Donald Trump non solo è politicamente più vivo che mai, ma guida con ampio margine ogni sondaggio di gradimento tra i sostenitori repubblicani per le prossime presidenziali. Così, mentre domani Biden ricorderà l'insurrezione che provocò cinque morti, forse nessuno tra i repubblicani all'opposizione – spaventati dall'idea di venire isolati dal partito – si azzarderà a fare l'unica cosa che sarebbe corretto fare: condannare pubblicamente l'assalto. Di più: i fedelissimi di Trump, dall'ex braccio destro Steve Bannon alla complottista Marjorie Taylor Greene, hanno già in programma un podcast, in cui i rivoltosi verranno presentati come «prigionieri politici». A conferma che il 6 gennaio 2021 non è stato il giorno in cui poteva finire la democrazia in America, ma l'inizio di una nuova battaglia, che avrà il suo primo tempo nelle elezioni di midterm a novembre e il secondo, ben più cruciale, nelle presidenziali del 2024 a cui Trump guarda con convinzione dal suo rifugio dorato di Mar-a-Lago, in Florida.

«Il 6 gennaio è uno dei giorni più bui della nostra democrazia – ha sottolineato la portavoce della Casa Bianca, Jen Psaki –. È stato un giorno in cui la capitale della nostra nazione è stata sotto attacco e penso non ci sia questione sul fatto che vada ricordato». L'attacco al Congresso è visto come «un presagio di una crescente violenza politica» per i due terzi degli intervistati da un sondaggio della Cbs, che ritengono che la democrazia americana «è minacciata» e si aspettano «nuove violenze politiche nei prossimi anni»: solo il 6 per cento degli interpellati sente la democrazia americana al sicuro. Inoltre, per il 28 per cento degli intervistati, è possibile utilizzare la forza per difendere il risultato di un'elezione. Il 34 per cento degli intervistati dal Washington Post ritiene invece che un'azione violenta contro il governo a volte può essere giustificata: si tratta della percentuale più alta da decenni.
Certo è che, dodici mesi e oltre 700 incriminazioni dopo, l'America aspetta ancora di conoscere una verità ufficiale: fu una protesta sfuggita di mano o una sorta di golpe ispirato, e comunque non ostacolato, dallo stesso Trump? Ciclicamente, i video di quelle ore tornano su Tv e social network: l'orda di manifestanti che spinge verso gli ingressi di Capitol Hill, i poliziotti schiacciati contro le cancellate (ne resteranno feriti 140). E poi i vetri infranti, le violazioni nei luoghi sacri della politica americana; il petto nudo di quello diventato l'icona dell'insurrezione, lo “sciamano Qanon” Jake Angeli, mentre in centinaia cantavano «Hang Mike Pence», «impicchiamo Mike Pence», per far pagare al vice presidente degli Stati Uniti il «tradimento» di non aver invalidato l'elezione di Biden.


Le divisioni di allora sembrano le stesse di oggi. La pena più dura è arrivata per Robert Scott Palmer, un uomo della Florida che ha ammesso di aver aggredito un agente a colpi di estintore: a dicembre è stato condannato a cinque anni e tre mesi di carcere. Ma la parte oscura resta il presunto ruolo della Casa Bianca, dello staff presidenziale e degli amici del cerchio magico che, il 5 gennaio e durante le drammatiche ore dell'assalto, erano riuniti nella “War Room” allestita al Willard Hotel, a pochi passi dalla Casa Bianca. A guidare il gruppo era Steve Bannon.

La Commissione speciale d'inchiesta, nominata dal Congresso contro il parere della stragrande maggioranza dei repubblicani, dopo aver incriminato Bannon punta a inchiodare Trump. Finora i membri della Commissione (sette democratici e due repubblicani ostili all'ex presidente) hanno ascoltato oltre 300 testimoni: l'obiettivo è un primo rapporto entro l'estate e quello definitivo prima delle elezioni di midterm, quando i repubblicani potrebbero tornare in maggioranza alla Camera e far deragliare l'inchiesta. Trump, è certo, il 6 gennaio non si mosse subito. E quando lo fece, con tre ore di ritardo, parlò di «elezioni rubate». Due terzi degli elettori repubblicani oggi gli danno ancora ragione, pur senza uno straccio di prova, mentre l'America resta polarizzata su tutto, dai piani per la ripresa economica ai vaccini. Domani, nelle stesse ore in cui parlerà Biden, anche Trump farà il suo discorso rilanciando le accuse di frode. E dando inizio ad una nuova, drammatica battaglia.

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