
Le manifestazioni contro Israele a Teheran - Ansa
La televisione iraniana continua a mandare in onda immagini dell’appartamento distrutto in cui abitava il fisico teorico Mohammad Mehdi Tehranchi, rettore dell’università islamica Azad di Teheran. Avevamo incontrato Tehranchi qualche mese fa, durante un convegno nella capitale iraniana e non nascondeva il suo appoggio al programma nucleare, pur sostenendo che era principalmente declinato allo sviluppo civile e solo in secondo luogo alla difesa della nazione contro i nemici esterni. La concentrazione e la facilità con cui gli attacchi israeliani hanno avuto luogo in diverse località del Paese, rappresentano un duro colpo all’immagine delle forze armate, del governo. «Se è così facile penetrare il nostro sistema difensivo aereo, come potremo sentirci al sicuro in caso di guerra?» si chiede uno studente del Centro di ricerca sulla salute militare dell’Università di medicina Baqiyatallah.
Ciò che risulta sorprendente è che il regime non ha censurato nessuna immagine, non ha tentato di minimizzare la potenza delle incursioni ammettendo, con inaspettata tempestività, la gravità della situazione ed elencando l’impressionante numero di ufficiali militari, fisici, esperti nucleari uccisi. A Teheran, così come in altre città, diverse manifestazioni stanno avendo luogo portando in piazza centinaia di persone che, oltre a inveire contro Israele sventolando bandiere iraniane e, in alcuni casi, palestinesi, intonano slogan a favore del regime come non si vedeva da tempo.
«In un certo senso questi raid hanno dato una boccata di ossigeno agli ayatollah» ci dice un ragazzo che nei mesi passati aveva partecipato alle proteste per la morte di Mahsa Amini. Il governo sta, infatti, sfruttando gli attacchi per chiamare attorno a sé tutta una popolazione che in questi anni si è sempre più dissociata dalla politica di Ali Khamenei e del presidente Masoud Pezeshkian. Quest’ultimo, proprio poche ore prima dell’attacco di Tel Aviv e rispondendo alla risoluzione dell’Aiea che stigmatizzava il comportamento delle autorità iraniane verso gli ispettori inviati dall’agenzia, aveva confermato che l’Iran «manterrà il programma di arricchimento dell’uranio e non faremo marcia indietro rispetto alla direzione attuale».
Le immagini di vittime civili trasmesse dalle stazioni televisive hanno scosso l’intera nazione: «Oggi siamo in una situazione differente dagli attacchi che sono avvenuti in precedenza» spiega un militare di fronte all’edificio sventrato in cui abitava Tehranchi e la sua famiglia: «Le vittime civili sono numerose e questa volta il centro sionista non si è limitato a colpire obiettivi militari. Di conseguenza presumo che la nostra risposta sia altrettanto differente da quelle pianificate in precedenza». Le parole di Khamenei che passano sulla televisione di Stato confermano questo timore: «Con questo crimine, il regime sionista si è prefissato un destino amaro e doloroso e lo subirà sicuramente».
Un funzionario dell’Organizzazione per l’energia atomica iraniana (Aeoi), ci ripete quello che i canali ufficiali dell’agenzia nucleare iraniana hanno trasmesso: «L’Aiea è complice in quello che è accaduto. Per anni l’Iran è stato oggetto di ripetuti attacchi da parte del regime sionista senza che l’Aiea abbia fatto nulla per fermalo». In verità Rafael Mariano Grossi, direttore dell’agenzia, da anni ha richiamato l’attenzione sul pericolo di una escalation in caso di attacchi israeliani verso i siti iraniani: «Il programma nucleare iraniano, a differenza degli altri, è molto diffuso sul territorio e i siti più strategici, come quello di Natanz, sono stati costruiti sottoterra, difficili quindi da distruggere – ci dice, quando l’abbiamo contattato –. Gli attacchi, come quello avvenuto in queste ore, rischiano di esacerbare una situazione già pericolosamente in bilico e l’Aiea ha sempre contrastato soluzioni del tipo militare».
Non tutti in Iran sono favorevoli alla politica di sviluppo atomica intrapresa dal governo: le critiche, seppur sommesse e rade, si concentrano soprattutto tra le file dei più giovani, sempre più intolleranti alle strette maglie imposte dal regime in fatto di diritti umani e di libertà di parola. «Il regime ha le sue colpe perseguendo una politica di sviluppo nucleare – spiega un ragazzo che si dichiara apertamente contro il governo –, ma ciò che è accaduto stanotte non è accettabile. Accanto agli obiettivi che Israele voleva colpire, sono morti innocenti, bambini».
Una manifestante in chador nero e con la bandiera iraniana ricorda che ciò che è accaduto a Teheran e in altre città iraniane non avveniva dalla guerra con l’Iraq: «Sembra che i sionisti vogliano trasformare tutta la regione in una enorme Gaza. Dobbiamo difenderci, abbiamo il diritto di difenderci. Khamenei ci indica la via e noi lo seguiremo, come abbiamo fatto con Khomeini contro l’Iraq». Le forze armate iraniane non sono ancora pronte per sostenere una guerra aperta contro Israele, specialmente in un periodo in cui l’alleato più stretto, la Russia di Putin, è impegnata sul fronte ucraino e l’altra sponda su cui Teheran fa affidamento, la Cina, è riluttante a intervenire direttamente in questioni al di fuori dei suoi confini. «Probabilmente assisteremo più ad una rappresaglia che ad una guerra aperta» ci confida un ufficiale dell’esercito: «Un massiccio invio di droni e di missili verso Israele (non utilizza il gergo diplomatico definendolo “regime sionista”) che ripulisca in qualche modo l’onore del governo, indichi al popolo la volontà di rispondere alle provocazioni e ai Paesi della regione la determinazione di guidare l’alleanza antiisraeliana».