mercoledì 9 marzo 2022
Hanno preso la decisione di andare via al termine di una notte gelata, 8 gradi sotto lo zero, e alle prime luci di un mattino di terrificanti
A Irpin solo gelo, terrore e impotenza

Ansa

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Hanno preso la decisione di andare via al termine di una notte gelata, 8 gradi sotto lo zero, e alle prime luci di un mattino di terrificanti e ripetuti bombardamenti, con la sensazione che «la linea del fronte si fosse avvicinata alla casa». Hanno lasciato Irpin presto, sabato scorso, il giorno prima che in questo sobborgo alle porte di Kiev i civili venissero sorpresi dal fuoco dei mortai e che sul selciato rimanessero i corpi di una madre e dei suoi figli. «Quella famiglia era stata sfollata da Donetsk otto anni fa.

Non li conoscevo di persona, ma so che provenivano da lì, come noi» racconta Darya Kasyanova, mamma di una bambina di due anni e di una ragazza di diciannove. È responsabile dei programmi di sviluppo di una Ong che si occupa di minori soli. «Dopo avere lasciato il Donbass allo scoppio della guerra nel 2014, ci eravamo trasferiti a Kiev, poi a Irpin. Abbiamo traslocato otto volte, l’ultima pensavamo sarebbe stata quella definitiva». Per dieci giorni, prima che suo marito riuscisse a raggiungerle, Darya e le figlie sono rimaste nel seminterrato. «Alla bambina di due anni abbiamo detto che fuori c’erano i tuoni.

L’ultima notte piangeva, chiedeva di tornare nel suo letto». Nelle occasioni in cui è riuscita a uscire, Darya ha potuto guardare da vicino, per la seconda volta nella sua vita, cos’è la guerra: «Ho visto in che modo gli aerei da combattimento attraversano il cielo e bombardano le aree residenziali, ho visto la popolazione scappare e l’esercito ucraino aiutarla a trasportare bambini e animali». Prima di lasciare Irpin, ha osservato i suoi concittadini dirigersi verso la stazione. «'Più tardi, quel giorno, la stazione è stata bombardata dai russi così la gente si è rifugiata sotto il ponte che era stato fatto saltare» (per arrestare l’avanzata del nemico, ndr).

Lei e i famigliari si trovavano in viaggio, in auto, da poche ore quando sabato pomeriggio la loro palazzina è stata colpita: «Una granata ha centrato la casa, i vicini ci hanno chiamato la sera». Ci sono voluti due giorni per raggiungere la città di Ivano-Frankivsk nell’Ucraina occidentale. 'Abbiamo puntato verso ovest, cercando un posto dove rifugiarci e ci siamo fermati qui. Abbiamo bisogno di un momento di respiro, per decidere che fare». Darya non riesce a contattare gli amici rimasti a Irpin. «Niente elettricità, niente riscaldamento, solo gelo, terrore e impotenza» in questa cittadina martoriata per giorni, dove però ieri si è aperto un canale per l’evacuazione dei civili.

La battaglia, tuttavia, prosegue: «Irpin non si arrende, Irpin non si compra, Irpin combatte!», ha scritto sui social il sindaco del sobborgo. «Per favore, è importante che le persone conoscano la situazione reale e l’ampiezza della tragedia provocata dall’aggressione russa» ci tiene a dire Darya. Le chiediamo se avesse vissuto giorni tanto duri anche nel 2014, in fuga da Donetsk occupata dai ribelli filo-russi. «È stato in qualche modo simile, ma questa volta il cinismo dei bombardamenti sulle città è più terribile e spietato di allora».

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