Le gang occupano le chiese. Decine di preti in fuga ad Haiti
di Lucia Capuzzi, inviata a Port-au-Prince
Un recente censimento parla di almeno 60 parrocchie chiuse e svuotate dai banditi. Sacerdoti e religiosi si uniscono all'esodo che riguarda ormai 1,4 milioni di civili

Impossibile raggiungerlo. Croix-des-bouquets, il quartiere dove è costretto a rifugiarsi da dieci mesi, è blindato dalle gang. «L’unico modo per parlarci faccia a faccia è che esca io», spiega in un francese misto all’italiano padre Yves Carlos Romulus. Anche per il parroco-sfollato della cappella Saint Laurent de Bongard è rischioso attraversare i confini, invisibili quanto impermeabili, fissati dalle bande armate che ormai controllano Port-au-Prince e dintorni. «Ma sono abituato: lo faccio di frequente per incontrare i fedeli», minimizza il sacerdote. L’appuntamento è fissato “al limite”: rue Clercine, appena dietro l’aeroporto, la prima strada “aperta” ai non residenti. Là c’è quel che resta di un centro commerciale: solo il fast food al piano di sopra funziona, seppure a singhiozzo. «Ci vediamo fra due ore, anche se è molto nuvoloso – dice padre Yves Carlos prima di riagganciare –. Solo una condizione: al primo accenno di temporale filiamo via perché con la pioggia la strada diventa un fiume in piena e resteremmo intrappolati entrambi. Parta subito». Le sue parole si chiariscono nel tragitto. Dopo le ripetute battaglie tra gang e quel che resta delle forze di sicurezza per il controllo dello scalo, rue Clercine è una successione di crateri. Le poche auto e le tante moto circolanti sono costrette a uno slalom audace per evitarli. Il risultato – anche in condizioni meteorologiche normali - è la congestione dei pochi tratti agibili. Occorrono tutte le due ore per arrivare con un ritardo moderato. «Non si preoccupi, noi profughi apprendiamo in fretta la difficile arte della pazienza».
«Noi profughi», una categoria in continua crescita nella capitale e nel resto di Haiti. Oltre 1,4 milioni di persone, in base agli ultimi dati dell’Organizzazione internazionale delle migrazioni (Oim) dello scorso mese, sono state costrette a lasciare le proprie case a causa della violenza. Quasi il doppio rispetto a un anno fa. Nel gruppo rientrano anche diverse decine di sacerdoti. Difficile avere una stima precisa. Ad aprile, l’arcivescovo di Port-au-Prince, Max Leroy Mésidor, ha denunciato la chiusura di 28 parrocchie della diocesi da parte delle bande mentre delle altre, il 40 per cento, era stato costretto a ridurre le attività al minimo. Ad agosto, padre Brillère Aupont ha pubblicato un censimento aggiornato in cui parla di sessanta chiese prese in ostaggio dai gruppi armati nella capitale, 80 nel Paese. Ad alcuni sacerdoti è consentito celebrare a discrezione del capo di riferimento. Altri sono direttamente cacciati, come il resto dei civili. Tra loro c’è padre Yves Carlos. Il 27 gennaio scorso, la federazione di bande Viv Ansanm ha attaccato Kenscoff, punto nevralgico di Port-au-Prince. Arrampicato sulle colline occidentali della città, per il quartiere passano le ultime direttrici relativamente agibili per i dipartimenti dell’est e del sud. Almeno fino ad ora. I gruppi armati, guidati dal super boss Jimmy Chérizier alias Barbecue, sono determinati a conquistarle, in modo da garantirsi il redditizio bottino dei “pedaggi”. La polizia non vuole cedere. La battaglia, dunque, va avanti. La zona di Bongard, dove si trova la cappella di Saint Laurent, con i suoi 15mila abitanti, è finita fin da subito sulla linea del fronte. «Nel giro di poche ore, hanno bruciato decine e decine di casa. Centocinquanta persone sono state massacrato. Tra loro Joseph, uno dei miei collaboratori. Ha cercato di difendere casa sua e l’hanno ucciso con un colpo di pistola. I superstiti sono scappati terrorizzati. Per quanto mi riguarda, ho scelto, come sempre, di accompagnare il mio popolo profugo. Finora non sono più tornato a Saint Laurent». Il sacerdote è così tornato dalla famiglia a Croix-des-Buquets e da là fa la spola per i vari siti dove sono finiti i parrocchiani. Una buona parte si è concentrata a Petionville, l’unico brandello di capitale in cui ci si può muovere. I più fortunati hanno un parente che possa accoglierli. Il resto si è accampato nelle piazze, nelle strade, negli edifici abbandonati, ovunque abbia trovato posto. Spesso padre Yves Carlos organizza delle riunioni nella chiesa di Saint Pierre del quartiere. «L’ultima è stata la settimana scorsa. Mi avevano chiesto di celebrare alcuni battesimi, così abbiamo deciso di vederci tutti insieme. Per le persone è importante sapere che non sono soli, che la comunità è ancora viva. Mi chiamano di continuo: sono tristi, depressi, angosciati. La chiamo la “pastorale del telefono”». Nel frattempo, dopo essere stata razziata, Saint Laurent è stata occupata dai banditi.
Lo stesso è accaduto alla non lontana parrocchia della Conversione di San Paolo di Furcy, guidata fino a gennaio da padre Jeanrilus Excellus, della congregazione degli spiritani. Nel villaggio, i miliziani di Viv Ansanm sono arrivati dopo avere messo a ferro e fuoco Kenscoff. «Un gruppo ha trasformato il mio presbiterio nel loro quartier generale. Mi hanno dato a malapena il tempo di prendere l’Eucarestia e gli archivi e mi hanno cacciato», racconta il religioso nella chiesa di Saint Pierre, anche per lui luogo di incontro abituale con i suoi fedeli. Qualche mese fa – ma preferisce non dare troppi dettagli – una banda ha fatto irruzione nella chiesa di Saint Hyacinthe di Petionville e l’ha portato via: solo dopo alcuni giorni è stato liberato.
«Preti, religiose e religiosi condividono il dolore di questo popolo martire. Non mi preoccupo tanto per me quanto per quanto sta soffrendo la gente. Ho creato un gruppo WhatsApp con cui stiamo in contatto continuo ma è davvero duro», aggiunge. «Alle gang vorrei direi: date una possibilità a questo Paese di sopravvivere – conclude padre Yves Carlos –. So che non solo i soli responsabili. Ma ora possono fare la loro parte. Magari prima o poi accadrà, non perdo la speranza. Ogni tanto i miracoli accadono. Vede? Questo pomeriggio, intanto, non ha piovuto».
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