Padre Louis: «Ad Haiti il popolo soffre, tocca a noi aiutarlo»
«Oggi assistiamo a una situazione di insicurezza totale fatta di rapimenti, violenza e omicidi. Anche la Chiesa è colpita» dice padre Jean Gaby Louis, prete haitiano in servizio in Cile

«Oggi assistiamo a una situazione di insicurezza totale fatta di rapimenti, violenza e omicidi. Anche la Chiesa è colpita: sacerdoti e religiose vivono nella paura. Non possono neanche uscire dalle parrocchie». A parlare è padre Jean Gaby Louis, unico sacerdote haitiano attualmente in servizio in Cile, dove guida la pastorale per i migranti e dirige il Dipartimento per la Mobilità Umana dell’arcidiocesi di Santiago. Racconta con lucidità la realtà di un Paese che da tempo vive sospeso tra emergenza e abbandono. Secondo l’ultimo rapporto delle Nazioni Unite tra l'inizio di aprile e la fine di giugno la violenza armata ad Haiti ha ucciso 1.520 persone e ne ha ferite altre 609, numeri simili a quelli dei primi tre mesi dell’anno. Padre Jean Gaby non usa giri di parole: è una crisi che riguarda ogni aspetto della società, anche la Chiesa. E a suo avviso, non può restare a guardare. «Il popolo soffre. E la Chiesa non può essere una voce passiva. Deve diventare una voce profetica, che cammina col popolo, che si fa prossima», dice con convinzione.
Figlio di una famiglia profondamente cattolica, nato nella cittadina di Saut-d’Eau, padre Jean Gaby ricorda con gratitudine la nonna, che gli trasmise la fede nella quotidianità: «Mi insegnava a pregare ogni sera e ogni mattina». La sua vocazione è cominciata lì, perché, dice richiamandosi alla “Chiesa domestica” di Papa Benedetto XVI, la fede si trasmette in famiglia. Un amore pieno e profondo che lo ha portato a ricevere comunione e cresima nello stesso anno. Mentre ripercorre la sua infanzia, anche a distanza, lo si vede sorridere per quello che definisce un «piccolo miracolo» di cui ricorda perfettamente le date. «Ho fatto la prima comunione a 11 anni, ma già sapevo tutte le preghiere, tutta la catechesi. Così, lo stesso anno – era il 2005 – ho ricevuto anche la cresima, il 26 dicembre».
Durante il liceo la vocazione sembrava essersi affievolita. Pensava di studiare all’università, magari lavorare. Ma una visita inattesa di due religiosi scalabriniani nella sua città cambiò la sua strada. Lasciarono dei pieghevoli sulla loro congregazione, e lui, più che altro per curiosità, partecipò a un seminario vocazionale. Qualche mese dopo, arrivò una telefonata: «Jean Gaby, vogliamo invitarti a entrare in seminario. Devi venire venerdì». E così fece nel 2006. La sua formazione lo ha portato in Colombia, in Messico, poi di nuovo in Colombia. Ordinato sacerdote nel 2018, fu destinato al Cile. « Qui mi occupo anche dell’amministrazione della casa religiosa e sono il responsabile economico della comunità».
Ma il cuore resta ad Haiti, e la preoccupazione è quotidiana. Padre Jean Gaby ribadisce che senza sicurezza non può esserci futuro. Racconta di una popolazione paralizzata dalla paura, dove uscire di casa è diventato un atto rischioso, anche solo per andare a Messa o per lavorare. «Per questo oggi Haiti è ancora più povera di prima. Non c’è movimento, non c’è sviluppo, tutto è bloccato da una spirale di violenza e potere concentrato in poche mani». La violenza colpisce tutti, torna a ripeterlo, Chiesa compresa. «Ci sono state religiose rapite, sacerdoti minacciati». Il suo pensiero, tra gli altri, va a Suor Luisa Dell'Orto, vittima di un’aggressione armata a Port-au-Prince nel 2022, dopo 20 anni di attività.
Ed è per questo che invoca con forza un ruolo più incisivo della Chiesa. «Senza sicurezza, non può esserci sviluppo. Ma se una persona ha paura persino di uscire di casa, come può pensare a costruire qualcosa? Non basta pregare, come Chiesa dobbiamo agire, entrare in dialogo con i politici, cercare soluzioni concrete». È convinto che sia necessario agire anche perché sa che Haiti è tanto altro. «È molto più ricca di quello che si racconta. Non si vede il lato bello del Paese: la cultura, le tradizioni, la musica, l’arte, la poesia, il ballo, il modo di parlare, il modo di pensare. Bisogna venire a vederla con i propri occhi per capirlo».
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