L'Isis non è stato sconfitto. Ecco come punta a destabilizzare Siria e Iraq

Dietro alla rappresaglia Usa di sabato, c'è la consapevolezza che lo Stato islamico continua ad arruolare guerriglieri pronti all'azione, complice anche il caos che c'è nei due Paesi. Nel dopo Assad ha effettuato più di 90 attacchi in soli sei mesi
December 22, 2025
L'Isis non è stato sconfitto. Ecco come punta a destabilizzare Siria e Iraq
Convoglio con a bordo uomini armati e incappucciati e bandiere nere dell'Isis, pubblicate da un sito jihadista negli anni scorsi
La rappresaglia americana di sabato in Siria ripropone un attore che non si era completamente dileguato dalla scena mediorientale, l’Isis (Daesh) appunto. Al di là della reale connessione dell’organizzazione terroristica con l’imboscata di Palmira che ha innescato il casus belli, salta agli occhi come la Coalizione internazionale abbia “tollerato” per un tempo indeterminato la presenza di «decine di infrastrutture e depositi di armi» del gruppo, quelle presumibilmente colpite nel deserto siriano.
Di sicuro, la Coalizione aveva un po’ prematuramente annunciato la sconfitta militare dell’Isis nella zona: in Iraq nel dicembre del 2017 e in Siria nella primavera del 2019. Da allora, il gruppo ha mantenuto una presenza piuttosto clandestina nelle zone desertiche a cavallo dei due Paesi con cellule di guerriglieri che hanno continuato a lanciare sporadici attacchi sia contro le forze governative siriane e irachene, sia contro le Forze democratiche siriane (a guida curda) o i vari gruppi filo-iraniani. L’ultimo rapporto presentato la scorsa estate dal Segretario generale dell’Onu al Consiglio di sicurezza parla di «circa 3.000 guerriglieri» tra Iraq e Siria, in calo rispetto ai 5-7.000 militanti stimati un anno prima.
Il rapporto precisa che il gruppo si è concentrato, dalla caduta del governo di Bashar al-Assad, sulla destabilizzazione delle nuove autorità ad interim e sullo sfruttamento delle vulnerabilità esistenti. Il caos che ha accompagnato la transizione avrebbe così giovato alle residue cellule terroristiche: membri del gruppo avrebbero sequestrato scorte di armi pesanti (missili, sistemi anticarro e mortai) detenute dal precedente regime, e oltre 500 detenuti affiliati al gruppo sarebbero stati rilasciati dai centri di detenzione, mentre altri sarebbero riusciti a evadere.
Solo nella prima metà dell’anno, l’Isis ha effettuato più di 90 attacchi in tutta la Siria, prendendo di mira principalmente le Forze democratiche siriane nel nord-est del Paese. Uno degli attacchi più mortali contro il nuovo regime è avvenuto il 18 maggio con un’autobomba lanciata contro un posto di sicurezza nella città orientale di al-Mayadin che ha causato cinque morti. L’attentato avveniva quattro giorni dopo il primo incontro che ha riunito nella capitale saudita, a margine del summit con i leader del Consiglio della Cooperazione del Golfo, il presidente Usa Donald Trump con l’autoproclamato presidente siriano Ahmad al-Sharaa in cui si era parlato, tra l'altro, di una collaborazione al fine di prevenire il riemergere dell’Isis. Un aumento significativo degli attacchi è stato evidente a partire da aprile, quando gli Stati Uniti hanno iniziato a ridurre la presenza delle truppe da 2.000 a circa 700 soldati.
In media, gli attentati rivendicati dallo Stato islamico sono passati da circa 5 al mese nella prima parte dell’anno a 14 da quando è iniziato il processo di ritiro. Le perdite subite dal gruppo per mano della Coalizione o delle forze governative siriane e irachene non furono comunque da meno, con più di 80 operazioni negli ultimi sei mesi secondo lo United States Central Command (Centcom). A marzo, un raid americano ha ucciso il leader Abdallah Makki al-Rafi’i, alias Abu Khadija, nella provincia irachena di al-Anbar. In agosto, è toccato al responsabile delle finanze del gruppo Salah Numan al-Jubouri, ucciso in un’azione coordinata nella provincia siriana di Idlib. In almeno un caso, tuttavia, il mancato coordinamento tra la Coalizione e i nuovi dirigenti di Damasco ha avuto esiti negativi nella lunga lotta al terrorismo jihadista. Lo scorso 19 ottobre, un’incursione delle forze statunitensi che mirava a catturare un presunto esponente dell’Isis, tale Khaled al-Massoud, ha ucciso invece un uomo che da anni lavorava sotto copertura per conto degli attuali dirigenti siriani, raccogliendo informazioni sugli estremisti.

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