Caritas Haiti: «La speranza si trova nei giovani che resistono»

Il racconto del direttore Yvel Germain per i 50 anni dell'ente caritativo: «Sosteniamo progetti che rendano le famiglie resilienti. Così si nutre anche la possibilità di immaginare un futuro migliore»
October 19, 2025
Caritas Haiti: «La speranza si trova nei giovani che resistono»
Caritas Haiti
«Sacerdoti e religiosi sono stati rapiti, chiese e scuole sono state attaccate. In alcune aree controllate dalle bande armate è diventato impossibile celebrare le funzioni religiose o mantenere una presenza pastorale. Eppure la fede continua a sostenere una gran parte della popolazione». Parola di padre Yvel Germain, direttore nazionale della Caritas haitiana. Che, quest’anno, compie 50 anni di vita nel Paese. Qui racconta come è cambiata la situazione di Haiti nel corso del tempo.
Come descriverebbe la situazione del Paese, oggi?
Quello che vive Haiti è estremamente preoccupante. La crisi è multidimensionale: politica, di sicurezza, economica e umanitaria. L’assenza di istituzioni stabili, l’aumento della violenza delle bande armate che controllano gran parte del territorio, l’insicurezza alimentare, le catastrofi naturali ricorrenti e l’esodo massiccio della popolazione creano un clima di instabilità e di sofferenza generalizzata.
Perché la comunità internazionale sembra incapace di trovare soluzioni?
Per diversi motivi. Nonostante sia coinvolta ad Haiti da molto tempo, i suoi interventi sono stati spesso sporadici, frammentari o mal coordinati. C’è poi una mancanza di fiducia della popolazione haitiana verso gli attori internazionali, percepiti come portatori di soluzioni che vengono imposte e che non considerano la realtà locale. Infine, l’assenza di interlocutori politici legittimi e stabili ad Haiti complica ogni azione.
È vero che decine di parrocchie sono state abbandonate a causa della violenza?
Sì, la Chiesa cattolica non è risparmiata dalle violenze. I fedeli hanno dovuto abbandonare diverse parrocchie, ma alcuni sacerdoti riescono a indirizzare le persone verso altre comunità. Così, riescono a continuare a vivere la loro fede e non vengono privati dell’accompagnamento spirituale e sociale.
Caritas compie 50 anni. Come è cambiato il vostro lavoro in questi anni?
All’inizio il nostro lavoro era incentrato sull’aiuto occasionale e sull’assistenza in caso di catastrofi naturali. Poi si è evoluto verso azioni di sviluppo, formazione e accompagnamento delle comunità. Oggi l’emergenza umanitaria è tornata in primo piano, ma cerchiamo sempre di mantenere anche una visione di ricostruzione e speranza a lungo termine. Concretamente in questo momento le nostre azioni principali sono il sostegno alimentare, medico, psicologico e spirituale alle persone più vulnerabili. Sosteniamo anche gli sfollati interni, vittime della violenza. E poi, come anticipavo, partecipiamo a progetti di sviluppo comunitario per rendere le famiglie e le collettività il più resilienti possibile. Le difficoltà, però, sono innumerevoli.
Ci può fare un esempio?
L’insicurezza limita moltissimo la possibilità di spostarsi e quindi di attuare i progetti. Mancano i finanziamenti e, in ogni caso, i bisogni sono enormi e superano di gran lunga le risorse disponibili. Comunque: continuiamo a operare e lo facciamo soprattutto grazie a una forte rete nazionale e internazionale e all’impegno delle comunità parrocchiali.
Riuscite a vedere segni di speranza?
La speranza è nella resilienza del popolo haitiano, nell’impegno delle organizzazioni locali, nella solidarietà e nella fede che continua a sostenere gran parte della popolazione. Ci sono giovani molto impegnati in realtà locali, che aspirano con forza a un futuro migliore. Per noi sono il segno che il Paese non ha perso la capacità di rialzarsi dal baratro in cui si trova.
Che cosa si aspetta Haiti dal mondo?
Sicuramente un sostegno solidale, rispettoso e coordinato, che si concretizzi in soluzioni che affrontino le cause profonde dell’instabilità, non solo i suoi sintomi. E poi un aiuto che rafforzi le istituzioni locali e la società civile, non che si sostituisca ad esse. Gli haitiani chiedono che la loro voce venga realmente ascoltata.
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