Congo, scene da un esodo. «Altro che pace, si fugge in Burundi»
Il racconto dei missionari saveriani: le milizie sostenute dal Ruanda stanno terrorizzando la popolazione, anche se non è facile capire i reali rapporti di forza sul campo. I colloqui per la tregua hanno moltiplicato il caos, mentre le ultime bombe hanno creato il panico: adesso migliaia di famiglie scappano

L’Est del Congo, tutt’altro che pacificato, vive in queste ore un esodo forzato di massa, con migliaia di civili in fuga verso il Burundi. Il gruppo armato M23 è entrato ieri nella città di Uvira, sulle rive del lago Tanganika, a pochi chilometri dal confine burundese, occupandola. I ribelli filo-ruandesi la chiamano la «liberazione della città superstite». Il governo di Kinshasa, le milizie sue alleate, e le migliaia di famiglie senza più casa parlano di «occupazione». L’ennesima. Un nuovo fronte aperto proprio nel bel mezzo dei colloqui di pace mediati da Stati Uniti e Qatar, falliti ancor prima di iniziare.
«Capire i rapporti di forza, le alleanze e le finte promesse, non è facile in Repubblica Democratica del Congo, una cosa però è certa: la gente di Uvira è terrorizzata, lascia tutto, scappa verso il Burundi. Circolano molte armi e droni, si uccide con facilità, c’è banditismo ovunque. Un caos senza giustizia», conferma padre Loris Cattani, missionario saveriano a Parma. «Le ultime bombe hanno creato il panico: vediamo la fiumana di gente che aumenta sempre di più», raccontano testimoni oculari. «Il metodo dell’M23 è bombardare», spiega ancora meglio un’altra fonte nel Sud Kivu. All’altezza della cattedrale di Saint Paul è un carnaio: «balles sur balles», pallottole una dopo l’altra. Tante. Questi i racconti. «I miliziani sono arrivati ieri e hanno iniziato a bombardare sulle montagne, da quel momento in poi già 20-30mila persone sono fuggite in Burundi. Sentiamo le bombe cadere, sembrano tuoni». Una missionaria, agli estremi opposti della città era addirittura fra tre fuochi: i burundesi, i fuggitivi dell’esercito congolese e l’M23 che avanza per occupare Uvira. I ribelli alle 14 di ieri avevano già preso possesso della zona di frontiera.
Padre Loris cerca di analizzare da remoto le cause del fallimento: «L’aver sdoppiato i colloqui di pace, tra Washington e Doha (i primi fra Congo e Ruanda, i secondi fra Congo e M23, ndr), ha reso la milizia M23 impunita – dice –. I ribelli si sentono svincolati e liberi di procedere. Hanno negoziato solo due protocolli: il cessate il fuoco, subito violato, e la liberazione degli ostaggi». Ma non il ritiro delle forze in campo.
Intere famiglie con le loro poche cose, bambini e donne sole; ragazzi e anziani, in un esodo di massa disperato, corrono per varcare la frontiera prima che chiuda, per non restare intrappolati sotto assedio. Molti di loro sono stati colpiti dalle bombe. L’esercito congolese e quello del Burundi battono in ritirata. «Uvira collegava praticamente Ruanda, Burundi e Sud Kivu – dice un missionario –. Dipende da Bujumbura per l’economia e il commercio, ora i collegamenti con il resto del Paese sono precari. Da Bukavu a Goma c’è il battello, mentre da Bukavu a Uvira c’è la strada, ma è impraticabile».
Tra Paul Kagame, presidente del Ruanda, e il suo omologo congolese, Felix Tshisekedi, volano accuse reciproche. Secondo il Ruanda, che sostiene apertamente l’M23, l’occupazione era «necessaria» per mettere fine ai bombardamenti di Congo e Burundi. Ma chi vive nella zona da anni smentisce assolutamente questa versione: «Non appena firmati gli accordi di pace il 4 dicembre scorso (a Washington, ndr), sono iniziate le ostilità, con fitti bombardamenti delle milizie sui villaggi, sui civili in fuga, anche tramite droni, a partire dall’estremo nord della piana della Ruzizi, ossia a 60/70 chilometri da Uvira».
L’arrivo dell’M23 era dunque una cronaca annunciata: nei giorni scorsi i miliziani avevano già occupato la cittadina di Kamanyola, a 15 chilometri dalla missione di Luvunghi, non lontano da Uvira. Da mezzogiorno di ieri in poi, la sfilata di camion pieni di militari burundesi, alleati del governo, e una fila infinita di gente diretta verso la frontiera. Adesso sarà il Burundi a farsi carico di migliaia di rifugiati: questa nuova fase bellica apre scenari ancora più cupi per i civili, con i fondi delle agenzie umanitarie in calo. Un carico pesante per la regione dei Grandi Laghi ricchissima e senza pace.
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