Cosa vedono nella Chiesa di oggi Benigni e Cercas
Due artisti dalla biografia estranea al mondo ecclesiale, ma attratti dal cristianesimo. Chissà se si può parlare di una mutata immagine della Chiesa nella considerazione pubblica

È un segno dei nostri tempi: milioni di persone solitamente lontane dalla Chiesa sono state provocate quest’anno a porsi domande vere sulla fede o hanno sentito un barlume imprevisto di attrattiva verso il cristianesimo, grazie a due artisti dalla biografia totalmente estranea al mondo ecclesiale: Roberto Benigni e Javier Cercas. Il comico toscano è entrato nelle case degli italiani raccontando con emozione, in tv, l’umanità di san Pietro, con le sue fragilità e i suoi grandi slanci, umanità tanto simile alla nostra, eppure straordinaria perché straordinario fu per lui l’incontro con Gesù; perché «le cose più importanti della vita non si apprendono e non si insegnano: si incontrano». Lo scrittore spagnolo, invece, nel 2025 è stato in testa alle classifiche dei libri più venduti nel mondo con un romanzo no fiction in cui racconta il viaggio di papa Francesco in Mongolia e confida di essere stato conquistato dall’umanità dei missionari cattolici nella patria di Gengis Khan. Entrambe le opere – il monologo di Benigni in Vaticano e il libro di Cercas Il folle di Dio alla fine del mondo – sono piuttosto sorprendenti. Inimmaginabili, forse, solo pochi decenni fa. Il Benigni del Pap’occhio s’era alienato le simpatie di molti cattolici con la sua satira irriverente; a torto o a ragione, era visto come il beniamino esclusivo del popolo laico della sinistra postcomunista. Cercas, dal canto suo, si è sempre professato ateo e anticlericale: anche lui letto e amato soprattutto da un largo pubblico che raramente mette piede in una libreria cattolica. Eppure, dal suo avvincente viaggio in Vaticano e in Mongolia è tornato cambiato: caduti molti pregiudizi sulla Chiesa cattolica, sorpreso da una inattesa “nostalgia di Dio”. Cosa altrettanto sorprendente: dopo aver letto il romanzo nessuno dei più affezionati e laici lettori dello scrittore spagnolo si è sentito di criticare il suo cambio di prospettiva circa la Chiesa cattolica. Come anche tra i fan di Benigni non si sono udite voci sarcastiche sulla scelta di contenuti “religiosi” per il suo ultimo spettacolo.
I percorsi esistenziali di Benigni e di Cercas sono diversi e solo loro sanno se e quanto è mutato il loro rapporto personale con il Padre Eterno. Sarebbe ridicolo aspettarsi da loro espressioni dottrinali inappuntabili. Ma i racconti sinceri di questi due popolari artisti toccano la mente e il cuore, aprono ad una domanda. Essi ci parlano anche di una mutata considerazione della Chiesa, di uno sguardo diverso verso la religione cattolica. Forse un effetto collaterale della limpida testimonianza ad extra degli ultimi papi: l’umile e dotto Benedetto, che mette mano con coraggio a riforme importanti per rimuovere la “sporcizia” nella Chiesa e poi, anziano e stanco, sceglie di farsi da parte per meglio servire con la preghiera il Corpo di Cristo; l’uragano Francesco, che scuote molta polvere accumulata sul Vangelo della misericordia, riuscendo a emozionare anche di chi è lontano. Il tempo in cui la barca di Pietro sembrava quasi travolta dai flutti degli scandali finanziari e dall’ignominia degli abusi sessuali del clero, sembra passato; più velocemente di quanto si potesse prevedere durante la lunga tempesta.
Il commovente monologo del premio Oscar, Benigni, e il sorprendente romanzo di Cercas si spiegano con l’innata genialità di questi due artisti e con la fantasia della Grazia, che opera come vuole, quando vuole e in chi vuole. Sono al contempo anche il frutto di una mutata immagine della Chiesa nella considerazione pubblica. C’è forse meno pregiudizio, più simpatia, più disponibilità all’ascolto. Anche nei confronti di un papa come Leone, che concede poco alla personalizzazione mediatica del suo ruolo e vuole anzi «scomparire perché rimanga Cristo». Un clima in parte cambiato, dunque. Questo non significa che le chiese stiano tornando a riempirsi o che ogni ombra sia svanita dal volto umano della Chiesa. Ogni trionfalismo sarebbe fuori luogo. Piuttosto si può vedere in questi cenni di una empatia nuova l’indizio di una possibilità più grande di testimonianza, un segno che richiama ogni fedele e la Chiesa intera ad una maggiore verità di sé, quindi ad una preghiera ancora più umile e consapevole. Affinché ogni essere umano, incontrando un cristiano, possa sentire quella nostalgia di Dio e il fascino di un’umanità più vera che ci hanno fatto presagire, in modo imprevedibile, il libro di Cercas e lo spettacolo di Benigni.
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