Il vero Big Bang è nel grembo di una madre
di Luca Peyron
Il tempo del Natale, dall’Avvento all’Epifania, ci spinge alla contemplazione del cielo. E a cercare la salvezza che ci vengono a cercare, parlandoci anche attraverso la storia. E l’arte

Cielo che diventa terra o terra che diventa cielo? Entrambi, perché entrambi i movimenti ne sono la chiave. E al centro un sole che arde. Quando Jean-Marie Pirot detto Arcabas dipinge Il Sole nel Ventre è il 1984. Una data che ha l’eco minacciosa del testo di Orwell. Molti, forse, scherzano sul Grande Fratello, intanto però le macchine diventano più intime, più vicine, quasi domestiche. A gennaio viene presentato il primo Macintosh: un computer che si mostra come un oggetto amichevole, con finestre da aprire e chiudere, icone da cliccare. L’umanità comincia a spostare una parte della propria vita in un regno di pixel, con luoghi e poteri invisibili. Ma la tecnologia non è solo stupore. In India, a Bhopal, una nube tossica, fuoriuscita di notte da uno stabilimento chimico, avvolge una città addormentata. Migliaia di persone muoiono, altre resteranno segnate per tutta la vita. Anche se nel Novecento l’umano con la sua tecnica sembra diventare quasi padrone del Cielo con l’orbita tranquilla di Gagarin e i passi polverosi degli astronauti sul Mare della Tranquillità, egli continua tuttavia a vivere il mistero del male sulla sua Terra. Nel 1984 ecco poi i Giochi Olimpici di Los Angeles, con il loro trionfo di colori, record, mascotte, ma segnati dal boicottaggio sovietico. È la Guerra Fredda che di tanto in tanto fa venire i brividi. Arcabas ritrae la figlia incinta, ma in lei riconosciamo la figlia di Sion. Il suo corpo dice con pudore e la dolce forza dell’arte il mistero dell’incarnazione, la doppia natura umana e divina di quel Figlio unigenito: azzurro e lattiginoso, quasi trasparenza trasfigurata di chi è Cielo; caldo, ocra, fango di chi è Terra. Sul petto due cerchi pallidi, come orbite lunari, ricordano che la maternità di questa donna è anche nutrimento, latte offerto a un figlio che ancora non vediamo, ma che già è presente come una stella dietro le nuvole.
Ma il centro della scena è il ventre che diventa globo dorato, un astro, un sole domestico, staccato dal firmamento e depositato nel corpo femminile. Nell’epoca in cui gli astronomi fotografano le macchie solari, misurano i venti di plasma e scoprono che il Sole è una fornace nucleare sospesa nel vuoto, Arcabas ci ricorda che il sole vero, quello che dà senso al cosmo, non è la sfera che brucia idrogeno a centocinquanta milioni di chilometri da qui, ma il piccolo fuoco di un bambino che cresce nel grembo della Madre, “donna vestita di sole” dell’Apocalisse, accanto a noi. Il disco luminoso sembra insieme pesante e leggero: le mani lo sostengono con una gravità umile, quasi temendo di lasciarlo cadere, ma nello stesso tempo è come se fosse lui a sostenere lei, come se tutta la figura ricevesse da quel nucleo d’oro la propria consistenza. Sopra, in alto, la tela si schiarisce: uccelli appena accennati, colombe che si posano attraversando un cielo bianco in cui non c’è più distinzione fra giorno e notte. Il volto della donna, è incorniciato da un quasi velo che sa di sacro con un caschetto alla moda che sa di profano. Lei guarda avanti, non verso lo spettatore ma appena un poco oltre, perché la notizia che l’ha fatta madre renderà tutti figli di lì a poco. In un tempo in cui l’umano insegue la tenebra della guerra, questa donna che porta il sole nel ventre ricentra l’universo, sulla vita, sulla luce. Su Dio. Ridona un oriente, un punto attraverso cui ri-orientare la Terra in vista del Cielo. Il vero big bang è nascosto qui, in questo piccolo globo d’oro compresso tra dieci dita umane: da lì esploderà una luce che non brucia ma salva, una stella che si consumerà nel buio di tutta la terra per sfolgorare segreta all’aprirsi di una tomba che resterà vuota. Siedi anche tu per un momento su quel seggio a forma di croce, mani alzate verso l’eterno e piedi piantati nel fango del tempo. Lascia che in questi giorni quasi d’inverno quel sole scaldi il tuo cuore e le tue ferite. Dio ha scelto un grembo di donna per abitarlo di cielo. Affinché io e te, fatti di terra, potessimo sperare l’inimmaginabile.
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