Così si estinsero gli hobbit: la triste storia dell'Homo floresiensis
Homo floresiensis: nuova luce sulla scomparsa degli “hobbit” indonesiani

Negli ultimi anni è diventato sempre più chiaro che l’umanità ha perso relativamente di recente uno dei suoi parenti più curiosi: Homo floresiensis, il piccolo ominine soprannominato “hobbit” per l’altezza ridotta. Per oltre un milione di anni questa specie ha abitato l’isola vulcanica di Flores, in Indonesia, ma le ragioni della sua scomparsa sono rimaste avvolte nell’incertezza. Nuove analisi suggeriscono che un periodo di siccità estrema iniziato circa 61.000 anni fa possa aver avuto un ruolo decisivo nel declino di questi antichi abitanti. Un team internazionale ha pubblicato su Communications Earth & Environment il più completo registro climatico mai ottenuto dal territorio in cui vivevano gli hobbit. Le nuove evidenze raccontano una storia di prosperità e crisi ambientale: H. floresiensis e una delle sue prede principali, un elefante pigmeo, sarebbero stati entrambi costretti ad abbandonare il loro habitat per una siccità durata millenni. E una volta usciti dalla loro roccaforte, potrebbero essersi imbattuti in un concorrente formidabile: l’Homo sapiens.
La scoperta di H. floresiensis nel 2003 ha scombinato il modo di interpretare l’evoluzione umana dell’estremo oriente: questi ominini alti circa 1,1 metri, dotati di un cervello insolitamente piccolo, erano comunque capaci di produrre strumenti in pietra e ancora oggi stupisce il fatto che siano riusciti a raggiungere Flores senza apparenti tecnologie nautiche. I loro resti – ossa e utensili litici – sono stati rinvenuti nella grotta di Liang Bua, incastonata in una vallata degli altopiani dell’isola. Le datazioni indicano una frequentazione compresa tra 190.000 e 50.000 anni fa. Attualmente Flores è soggetta a un clima monsonico: estati molto piovose (da novembre a marzo) e inverni con precipitazioni ridotte (da maggio a settembre). Ma nel corso dell’ultimo periodo glaciale la distribuzione e l’intensità delle piogge cambiarono drasticamente.
Per ricostruire la storia delle precipitazioni, i ricercatori hanno esplorato Liang Luar, una grotta situata 700 metri più in alto rispetto a Liang Bua. Lì hanno individuato, in modo fortuito, una stalagmite cresciuta esattamente nel periodo in cui H. floresiensis scompariva. Le stalagmiti registrano nelle loro stratificazioni la firma chimica del clima. Due indicatori geochimici sono stati fondamentali per lo studio: il valore di ¹⁸O (ossigeno con massa atomica 18), che permette di interpretare la forza dei monsoni, e il rapporto magnesio/calcio, che segnala la quantità totale delle precipitazioni. Calibrando questi dati con precisione cronologica, il gruppo ha potuto ricostruire le piogge su base stagionale, annuale e millenaria.
Sono emerse tre fasi principali: la prima tra 91.000 e 76.000 anni fa, che vide un clima più umido dell’attuale in tutte le stagioni; la seconda tra 76.000 e 61.000 anni fa, con un regime monsonico molto marcato, con estati piovose e inverni aridi; La terza tra 61.000 e 47.000 anni fa, quando vi fu una drastica riduzione delle piogge estive. Una volta definito il quadro climatico, mancava capire come l’ecosistema avesse risposto a tali trasformazioni. Per ricostruire la cronologia fossile di Liang Bua, i ricercatori hanno analizzato l’¹⁸O nello smalto dei denti di Stegodon florensis insularis, la forma pigmea e ormai estinta dei moderni elefanti. Gli individui giovani di stegodonte figuravano tra le prede principali degli hobbit, come dimostrano i chiari segni di macellazione sulle ossa ritrovate nella grotta. Con grande sorpresa, l’andamento dell’ ¹⁸O nei denti degli stegodonti coincideva perfettamente con quello registrato dalla stalagmite di Liang Luar. Questa corrispondenza ha permesso di attribuire date molto accurate ai fossili degli elefanti e ai resti umani associati. È così emerso che circa il 90% dei resti di stegodonte appartiene al periodo 76.000–61.000 anni fa, la fase di clima “a riccioli d’oro”, caratterizzata da un equilibrio ideale tra piogge e stagionalità. In quell’ambiente gli elefanti pigmei avrebbero trovato condizioni favorevoli al pascolo e H. floresiensis avrebbe potuto seguirli e cacciarli con facilità. Ma con l’inizio della lunga siccità entrambi iniziano a scomparire dai depositi fossili: meno piogge significavano meno vegetazione, meno prede e un fiume – il Wae Racang, fondamentale nella stagione secca – probabilmente ridotto a un filo d’acqua. Stegodonti e hobbit avrebbero così abbandonato progressivamente l’area.
Gli ultimi resti di stegodonte e gli ultimi utensili litici di Liang Bua sono ricoperti da un potente livello di cenere vulcanica, datato a circa 50.000 anni fa. Non è chiaro se un’eruzione nelle vicinanze abbia contribuito ulteriormente al declino degli hobbit, ma la coincidenza temporale solleva interrogativi. Subito sopra lo strato di cenere compaiono le prime tracce attribuibili a Homo sapiens. Sebbene non sia possibile stabilire se le due specie si siano effettivamente incontrate, indizi archeologici e genetici mostrano che i sapiens stavano colonizzando le isole della regione e raggiunsero Sahul almeno 60.000 anni fa. Se H. floresiensis fu spinto verso la costa dalla mancanza di risorse, un incontro con gli esseri umani moderni non è da escludere. In tale scenario, competizione, malattie o perfino forme di predazione potrebbero aver influito sul triste destino degli hobbit.




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