Adolf Hitler il predone: la razzia infinita dell'arte
Sono milioni gli oggetti preziosi e le opere di cui il Führer e Göring si sono appropriati. Un saggio di Isman racconta, fino a oggi, le peripezie di questi “prigionieri di guerra”

«Tutti pensano ai nazisti come degli assassini. Ma prima ancora sono stati ladri: dal 1933 in poi, ovunque abbiano avuto potere». L’affermazione del premio Nobel per la pace Elie Wiesel, sopravvissuto alla Shoah, coglie un punto essenziale: il regime hitleriano ha accompagnato a ogni discriminazione, massacro o invasione la depredazione e lo sfruttamento di corpi, terre, risorse economiche. Una razzia che non ha risparmiato il patrimonio artistico- culturale, dai quadri alle sculture, dai gioielli agli oggetti di culto fino a libri e strumenti musicali antichi. Il saccheggio di opere d’arte perpetrato da Hitler non è stato certo il primo. Ma mentre quello di Napoleone, al quale spesso viene paragonato, rispondeva a «una dottrina, un principio e un pensiero (giusti o errati che fossero), alle spalle di Hitler si leggono soltanto la cupidigia, e il criminale e folle piano della “soluzione finale” della “questione ebraica”». La linea di distinzione la traccia Fabio Isman in L’arte razziata dai nazisti (il Mulino, pagine 232, euro 17,00), un saggio, frutto di un lavoro trentennale, in cui l’autore – già inviato de “Il Messaggero” - racconta le storie travagliate di opere trafugate da musei o sottratte a collezionisti privati, in gran parte ebrei. Vicende - ricostruite a partire dagli anni bui del Novecento fino al 2025 - che sono drammatiche anche se non si svolgono più tra gli orrori della guerra, ma sono accompagnate dal battere di martelletti in case d’asta o nelle aule di tribunali. Una storia intricata e affascinante quella di quadri e sculture, che da oggetti inanimati sono divenuti - secondo la definizione che fa da sottotitolo al libro - “gli ultimi prigionieri di guerra”. Molti di essi, infatti, dal conflitto non sono più (o non ancora) tornati. Si stima ne manchino all’appello almeno 100mila. Si stima: perché su quante opere i nazisti abbiano trafugato nei dodici anni di follia al potere, certezza non può esserci. Sicuramente milioni di oggetti, forse addirittura cento. Si è trattato, rimarca Isman, del «più immane furto di massa della storia», che «ha coinvolto un quinto delle bellezze europee». Il Paese occidentale a pagare il prezzo più alto è stata la Francia, con oltre 5 milioni di opere e 203 collezioni private depauperate, un terzo del totale.
Quattro furono le tipologie di confische attuate dal Terzo Reich: quelle che videro gli ebrei costretti a disfarsi delle proprietà artistiche dopo l’ascesa al potere di Hitler nel 1933; quelle che il Führer - come si sa, artista fallito - requisì per il faraonico progetto di un museo nella sua Linz; quelle che il Maresciallo del Reich Hermann Göring, amante dello sfarzo, destinò alla sua collezione privata, che divenne tra le più imponenti d’Europa; infine quelle rastrellate dai militari tedeschi ovunque piantassero la bandiera con la svastica. Le collezioni di Hitler e Göring sono state in gran parte recuperate grazie all’opera dei Monuments Men, sui quali è incentrato un capitolo del libro, che è dedicato a Rodolfo Siviero, l’agente segreto che salvò molte opere d’arte italiane a rischio della vita. Le ruberie del Führer destinate a Linz erano conservate in ben 1.400 depositi. In una miniera austriaca ne sono stati trovati e inventariati oltre 7mila, tra quadri, acquerelli e stampe. Diverso il destino spettato agli espropri di cui furono vittime gli ebrei, ancora alle prese con identificazioni, diatribe legali e riconsegne difficili: molte sono passate per molte mani e si sono sparse in tutto mondo in musei che non ne conoscevano la provenienza o acquistate da ignari collezionisti.
La comunità internazionale sulla materia si è mossa in modo disomogeneo. E non esiste tuttora alcun trattato vincolante che normi la materia delle ruberie naziste. Gli Alleati già nella Dichiarazione di Londra del 1943 si riservarono il diritto di invalidare le vendite avvenute nei territori occupati dal Reich. Fu un primo passo. Ma una sistematizzazione è avvenuta solo nel 1998 con la Conferenza di Washington, che fornì undici indicazioni di principio per identificare le opere, mettere in rete le conoscenze acquiste dagli archivi, ritrovare i legittimi proprietari o i loro eredi e arrivare a una soluzione equa (spesso è accaduto che eredi e musei si siano accordati per dividere i proventi della vendita dei pezzi sul mercato). Infine, gli Stati venivano sollecitati ad attuare processi nazionali. Questo però in molti casi (come l’Italia) non è avvenuto, anche se sono stati messi in campo accordi bilaterali.
Ma il saggio – arricchito da un ricco apparato fotografico - non si limita alla dimensione numerica, tipologica e giuridica del fenomeno. Indaga infatti minuziosamente nelle vite di chi ha subito quell’espropriazione di bellezza, e spesso della vita. Isman fornisce una sterminata galleria. I pittori coinvolti, loro malgrado, sono innumerevoli: si va dai grandi – Raffello, Tiepolo, Tiziano, Mamet, Klimt, Picasso, van Gogh, per citarne solo alcuni -, fino ad artisti minori o la cui memoria si è sbiadita nel tempo. Alcuni esempi. Murnau mit Kirche II, dipinto nel 1910 da Kandinskij, trafugato a due ebrei berlinesi, conservato in Olanda dal 1951, restituito ai 12 eredi nel 2023 e infine battuto da Sotheby’s per 45 milioni di dollari. O Sopra Vitebsk di Chagall, per 75 anni al Moma di New York e venduto per 23 milioni nel 2024 dopo essere tornato tre anni prima nelle mani degli eredi di Franz Zatzenstein, fondatore della Galleria Matthiesen. I percorsi a volte sono tortuosi e misteriosi, degni di un giallo. Come quello di un dipinto di Lucas Cranach il Vecchio (ossessione di Göring, che vi vedeva l’incarnazione dello “spirito germanico” e ne aveva collezionati ben 54) appartenuto a un giudice di Amburgo, fuggito con la moglie in una località della Pennsylvania. Nel 1962 accade che un museo vicino acquista, da Parigi, proprio quel quadro da Parigi. Saranno gli eredi pochi mesi fa a dividere la somma di 330mila dollari con il museo. Oppure le peripezie finiscono per incarnare una “nemesi storica”, come il Ritratto di Adele di Klimt che dopo una serie rocambolesca di passaggi, finisce nelle mani del miliardario americano Ronald Lauder, figlio di Estée, fondatrice della celebre casa di cosmetici, ma soprattutto presidente del Congresso mondiale ebraico. Così «la più clamorosa restituzione di un’opera razziata da Hitler finisce paradossalmente proprio all’ebreo più autorevole del mondo».
Isman offre al lettore anche il sottobosco di personaggi oscuri che si sono approfittati della messa al bando di molti artisti in quanto “degenerati”, costruendo collezioni di grande pregio, che ne hanno fatto la fortuna economica. O hanno svolto la funzione di intermediari, affinché i pezzi grossi del regime mettessero le mani sulle ambite prede. Su tutti il celebre caso di Cornelius Gurlitt, lo “gnomo di Monaco”, nel cui appartamento di 100 metri quadri nel 2010 vennero trovati ben 1.406 dipinti dal valore, stimato inizialmente ma poi ridimensionato, di un miliardo di euro. Frutto in gran parte delle opache acquisizioni del padre sotto il regime. Ma c’è anche il caso dell’ingente collezione - 630 opere soprattutto di impressionisti e post-impressionisti - appartenuta a Emil George Bührle (1890-1956) industriale di armamenti e uomo più ricco della Svizzera. Alla morte emerse la provenienza ebraica di alcune opere. Un’ombra lunga: altre sette sono state di recente identificate.
Il clima comunque dal 1998 è mutato. Una delle prove è l’ordinanza dello Stato di New York, a tutte le istituzioni museali del territorio, di apporre didascalie che designino le opere trafugate in guerra. Perché, conclude Isman, «non si può non sapere, non è più lecito ignorare».
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