Lumen gentium: la Chiesa si scopre popolo di Dio

Il cardinale Arrigo Miglio: «La Costituzione dogmatica chiama a una conversione sinodale che coinvolge tutti. Il sacerdozio comune dei fedeli? Solo una minoranza ha maturato questa consapevolezza»
December 11, 2025
Lumen gentium: la Chiesa si scopre popolo di Dio
La Chiesa potrà davvero diventare “Popolo di Dio”, come indica la Lumen gentium, solo attraverso una conversione sinodale che coinvolga tutti, clero e laici, in un ascolto reciproco radicato nella Scrittura. Per il cardinale Arrigo Miglio, arcivescovo emerito di Cagliari, senza questo stile condiviso, non formale ma spirituale, ogni riforma resta incompiuta. Una riflessione che il porporato offre nei giorni in cui la Chiesa fa memoria dei sessant’anni dalla chiusura del Concilio Vaticano II. Assise che nella Costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen Gentium ha uno dei suoi capisaldi.
Eminenza, lei è stato ordinato presbitero per la diocesi di Ivrea tre anni dopo la Lumen gentium. Come ha vissuto nelle parrocchie piemontesi il passaggio dalla Chiesa “società gerarchica” pre-conciliare al “Popolo di Dio” in cammino, e quali sono stati i segni più evidenti?
Ci colpì la definizione di Chiesa “Popolo di Dio” che comprende tutti, clero e laici: una novità rilevante. Erano i tempi dell’Azione Cattolica, della collaborazione con l’apostolato gerarchico. Con il vescovo Luigi Bettazzi, tra i più giovani padri conciliari, individuammo nei consigli pastorali il modo più immediato per attuare la Lumen gentium, non solo usando l’espressione “Popolo di Dio”, ma radunando i laici, non più solo nelle aggregazioni laicali, ma coinvolgendo i rappresentanti delle parrocchie.
Tra i battezzati quanta coscienza c’è oggi del sacerdozio comune dei fedeli e della missione dei laici?
Credo che solo una piccola minoranza abbia maturato questa consapevolezza. Quando noi del clero parliamo di Popolo di Dio, finiamo per riferirci ai laici. Nella Lumen gentium non è così. Il linguaggio non aiuta, la dimensione del sacerdozio comune dei fedeli avrebbe bisogno di maggiore precisione. Lo stesso vale per la parola “sacerdoti”: per parlare del ministero ordinato dobbiamo dire vescovi, presbiteri e diaconi. Finché nel linguaggio corrente “sacerdozio” indicherà solo i presbiteri, sarà difficile per i laici maturare la coscienza del sacerdozio comune. Sarebbe inoltre necessario riprendere, con l’entusiasmo dei primi anni dopo il Concilio, la Bibbia e vedere come nel Nuovo Testamento la parola “sacerdoti” si riferisca a Gesù e al popolo dei redenti. Comprendendo meglio il tipo di sacerdozio che Gesù, con il Battesimo, comunica a tutti i battezzati sarà chiaro che la celebrazione eucaristica non può ridursi solo a un rito e dimentichiamo il sacrificio spirituale di cui parla Paolo nella Lettera ai Romani, che è carità, condivisione del pane con i fratelli, dono della vita.
Il ruolo dei laici è al centro della Lumen gentium e del Sinodo sulla sinodalità. Dopo sessant’anni quali sono le ragioni per cui fatica ancora a tradursi nella vita ecclesiale concreta?
Credo che la differenza la faccia proprio la sinodalità e la riflessione sviluppata in questi anni su essa. Alla fine del Concilio la parola “sinodalità” non era comune. Le diocesi hanno celebrato dei sinodi ma erano quelli previsti dalle norme canoniche. Vedo due differenze importanti tra i primi consigli pastorali e il cammino sinodale maturato in questi anni. Allora il rischio era che i consigli pastorali si trasformassero in “parlamentini”. Mancavano punti di riferimento operativi più chiari. Nelle discussioni emergeva poi una tensione tra la dimensione decisionale e quella consultiva dei consigli. La sinodalità aiuta a maturare. Nel contesto sinodale l’ascolto reciproco nello Spirito, l’incontro accompagnato dalla preghiera, il maturare insieme le decisioni e il cammino proposto da papa Francesco in questi anni, rappresentano il modo per ripartire in maniera diversa, più consapevole del ruolo di tutto il Popolo di Dio.
Alla luce dell’appello di papa Leone XIV ad Assisi sulla sinodalità come dimensione essenziale della Chiesa, come collegarlo alla visione del “Popolo di Dio” per rivitalizzare le diocesi italiane?
Credo sia importante continuare questo cammino e applicare il metodo della sinodalità ai diversi livelli. È importante continuare un processo di vita sinodale.
Contro il clericalismo, come promuovere collegialità e sinodalità, fedeli all’ispirazione della Lumen gentium?
Quando sono stato nominato vescovo di Iglesias, nel 1992, era in pieno svolgimento il Concilio plenario sardo. È stata una vera esperienza sinodale. Ricordo riunioni bellissime, un’esperienza che ha fatto crescere la voglia di dialogare. Questo deve diventare metodo quotidiano. Noi clero dobbiamo imparare ad ascoltare di più, a motivare le decisioni, a maturarle insieme. Così possiamo vincere il clericalismo. Nessuno rinuncia al proprio ministero, ma lo vive in un cammino condiviso.
A un giovane sacerdote che si interroga sull’eredità del Vaticano II, cosa indicherebbe come bussola per il ministero?
Maggior fiducia nelle Scritture con la lectio divina, credendo proprio nella forza e nell’efficacia del confronto con la Parola di Dio e di una preghiera che parte da essa. E poi un maggiore contatto con le Chiese degli altri continenti. Penso all’Africa, al Brasile, all’America Latina per vedere loro come hanno vissuto la Lumen gentium in questi decenni e come vivono la liturgia.
Per la Commissione di studio sul diaconato femminile, i tempi non sono maturi in tal senso. Secondo lei quali potrebbero essere oggi dei nuovi ministeri da affidare alle donne sempre alla luce della Lumen gentium?
Credo che il tema debba maturare attraverso un confronto sinodale. Alcuni punti necessitano di crescita e approfondimento. Dobbiamo approfondire la questione del gender per comprendere meglio l’antropologia biblica: “Maschio e femmina li creò”, due ricchezze. La valorizzazione dell’antropologia che proviene dalla Rivelazione non deve però tradursi, come è accaduto, in una disparità di dignità e di importanza tra uomini e donne. Dobbiamo raggiungere un equilibrio pieno tra uomini e donne nel cammino della Chiesa. Non si tratta di rivendicazionismo: l’antropologia biblica resta il punto di partenza, con il valore e l’uguale dignità degli uni e delle altre, come insegna anche la Lumen gentium. Dobbiamo valorizzare e far maturare maggiormente i ministeri, sia maschili sia femminili, e forse anche qualche ministero specificamente femminile. Le giovani Chiese, penso ad alcuni sacerdoti fidei donum che lavorano nella zona amazzonica, stanno già lavorando in questa direzione. Inoltre, dobbiamo rivedere il diaconato permanente. Quando il Concilio lo ha introdotto, molte giovani Chiese dell’Africa e dell’America Latina non l’hanno adottato, né per uomini sposati né per celibi. Occorre interrogarsi e ciò richiede una maturazione sinodale, fatta di dialogo, offrendo motivazioni chiare: bibliche, provenienti dalla Rivelazione e dal cammino della Chiesa, che è fonte di conoscenza della volontà e del progetto di Dio.

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