martedì 3 settembre 2019
Se oggi il governo andrà sotto ai Comuni sulla proposta di legge volta a bloccare il no deal, Boris Johnson presenterà una mozione di scioglimento del Parlamento per elezioni anticipate il 14 ottobre
Il primo ministro Boris Johnson a Downing Street / Ansa

Il primo ministro Boris Johnson a Downing Street / Ansa

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E' l’ultimo avvertimento ai “ribelli” conservatori, la fronda dei 21 deputati contrari alla sospensione del Parlamento che, questa settimana, potrebbe votare insieme all’opposizione una mozione che impegni il governo a chiedere un posticipo della Brexit, e quindi a evitare il «no deal». «Re Boris», come ormai viene chiamato il primo ministro, lo lancia dal leggio posto all’ingresso di Downing Street mentre i ministri del suo gabinetto brindano, nel giardino retrostante, alla (temporanea) riapertura di Westminster: «Rischiate di tagliare le gambe alla posizione negoziale del Regno Unito».

«Non vi sono circostanze in cui chiederò a Bruxelles un rinvio», assicura con determinazione per poi ribadire, con altrettanta fermezza, di non volere elezioni anticipate: «Non le voglio io, non le volete voi». La linea dura del governo su Brexit non si sposta di una virgola e, osservata dagli addetti ai lavori, acquista sempre più “raffinatezza” strategica. La dichiarazione rilasciata ieri da BoJo lascia intendere che l’esito della manovra che l’op-È posizione tenterà in Aula, a partire da oggi, equivarrà a un voto di fiducia che, se l’esecutivo non dovesse incassare, costringerebbe Johnson a chiamare il Paese alle urne già il 14 ottobre, alla riapertura delle Camere dopo la “prorogation”. Quella che si apre oggi a Westminster è una partita determinante, giocata con l’astuzia e l’azzardo tipici del poker, per il partito conservatore oltre che per l’intero Paese. Stando alle indiscrezioni, il primo ministro sarebbe determinato ad allontanare dal partito i deputati che gli hanno dichiarato battaglia, i 21 moderati capeggiati dall’ex cancelliere Philip Hammond, che, a questo punto, vedrebbero messa a rischio la loro ricandidatura. Che la tensione sia ai massimi livelli lo dimostrano le modalità del confronto, ridotto a uno scambio di missive dopo il rifiuto, domenica, del premier di incontrare una delegazione di “ribelli”. Johnson, che in Aula vanta una maggioranza numericamente molto debole, ha bisogno dell’appoggio delle “colombe” per portare, come promesso, a ogni costo, il Regno Unito fuori dall’Ue entro il 31 ottobre. Opporsi a questo progetto significherebbe, per i moderati, perdere lo scranno a Westminster considerato che, in caso di elezioni, ci sono buone probabilità che i Tory, nonostante l’autoritarismo a tratti incostituzionale del loro leader, possano vincerle. Detta da un politico di lungo corso come Tony Blair, ex primo ministro laburista, irriducibile sostenitore di un secondo referendum sulla Brexit, quella delle elezioni anticipate rappresenta una trappola che rischia di mettere fuori gioco l’opposizione, soprattutto finché ci sarà il socialista Jeremy Corbyn a guidarla. Se la tattica governativa degli avvertimenti e dei ricatti velati funzionerà lo si capirà molto presto, probabilmente già nel corso della seduta prevista oggi a Westminster. Il laburista Corbyn, alla guida della coalizione allargata a Lib Dem, Verdi, Change Uk, Snp e Plaid Cymru che ambisce a rimandare la Brexit, ostenta sicurezza. «Questa settimana – ha detto ieri – potrebbe essere la nostra ultima opportunità. Stiamo lavorando per fare tutto il necessario per allontanare il nostro Paese dal baratro». Impresa ardua, la sua, considerando, tra l’altro, che l’eventuale mozione sul rinvio della Brexit sarebbe non vincolate e che, come lasciato intendere nei giorni scorsi dai ministri Michael Gove e Gavin Williamson, non è escluso che l’esecutivo possa semplicemente ignorarla. Sullo sfondo dell’ultima chiamata di Johnson alla Brexit «do or die» («fare o morire») c’è un’Europa che sta a guardare ma che non perde occasione per dimostrare che, da Londra, non si lascia intimorire. Il premier ieri ha sottolineato che «le chance di un accordo con Bruxelles stanno aumentando» ma, domenica, è arrivato un altro durissimo «no» dell’Ue alla possibile rivisitazione del backstop, il meccanismo di garanzia del confine tra l’Irlanda e l’Irlanda del Nord tanto inviso agli ultrà brexiteer. In un intervento sul Sunday Telegraph, Michel Barnier, il capo negoziatore europeo per la Brexit ha ribadito: «È il massimo livello di flessibilità che l’Ue può offrire ad uno Stato non membro». © RIPRODUZIONE RISERVATA L’Europa non si lascia intimorire. Domenica un altro fermo «no» alla rivisitazione del backstop. Ma secondo il premier «le chance di un accordo stanno aumentando» LA BATTAGLIA

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