lunedì 9 maggio 2016
Viene chiamato "il Trump filippino". Vuole combattere la delinquenza con la pena di morte. È favorevole a un avvicinamento alla Cina. CHI È
Quel «pugno giallo» minaccia il futuro di Gerolamo Fazzini
Filippine, il populista Duterte verso la presidenza
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Mentre si attengono i risultati finali del voto per le presidenziali nelle Filippine, i media locali danno in ampio vantaggio il populista Rodrigo Duterte, soprannominato "il Trump filippino". Con il 40% circa delle preferenze, Duterte avrebbe conquistato 7,8 milioni di voti, superando di oltre venti punti la senatrice Grace Poe (4,5 milioni di voti) e l'attuale ministro dell'Interno Mar Roxas (4,3 milioni). CHI È DUTERTE. Il 71enne sindaco di Davao, Rodrigo Duterte, era praticamente sconosciuto fino a sette mesi fa. Ha impostato la campagna elettorale sui temi della lotta alla criminalità e allo spaccio di droga e ha più volte detto che, se vincerà, condannerà a morte centinaia di migliaia di delinquenti. Viene popolarmente chiamato "il castigatore" ed è paragonato da molti a Donald Trump per il machismo e i metodi "sbrigativi". Ha minacciato, se eletto, di invalidare gli organismi legislativi qualora non approvino le leggi di cui avrà bisogno per governare. Il presidente uscente Benigno Aquino lo ha addirittura paragonato ad Adolf Hitler. Mettendo in guardia dal votarlo, sabato scorso è arrivato a dire: "Spero che abbiamo imparato dalla storia. Dobbiamo ricordare come Hitler salì al potere". Duterte gode però dell'appoggio di una parte importante dell'elettorato proprio perché promette di eliminare entro sei mesi la delinquenza, piaga che affligge il paese. ​Quel «pugno giallo» minaccia il futuro di Gerolamo FazziniALLA VICEPRESIDENZA IL FIGLIO DI MARCOS. Nella corsa alla vicepresidenza, per cui si è votato separatamente, è in vantaggio Bongbong Marcos, figlio dell'ex dittatore Ferdinand. Marcos si è aggiudicato finora 7,3 milioni di voti, contro i 6,5 milioni di Leni Robredo. Alle urne erano chiamati 54 milioni di elettori. LA SVOLTA FILO PECHINO. La vittoria di Duterte potrebbe segnare una svolta favorevole a Pechino, ansiosa di lasciarsi alle spalle l'astio con Manila che ha caratterizzato gli anni della presidenza di Benigno Aquino, durante i quali il Paese si è avvicinato a Washington e Tokyo. In campagna elettorale Duterte ha aperto la porta al dialogo con la Cina sullo sviluppo congiunto delle risorse del Mare Cinese Meridionale ipotizzando in cambio l'aiuto cinese nella realizzazione delle infrastrutture di connessione delle isole che compongono l'arcipelago filippino. LA DISPUTA DEL MAR CINESE. L'interesse cinese per le elezioni nelle Filippine riguarda anche la decisione del Tribunale internazionale dell'Aja, attesa nelle prossime settimane, sulle dispute sulla sovranità in corso tra Pechino e Manila nel Mare Cinese Meridionale. Il governo cinese ha detto che che qualsiasi decisione uscirà dal tribunale internazionale sarà "nulla". Avere un presidente favorevole alla risoluzione delle dispute attraverso negoziati bilaterali, come Duterte, potrebbe però semplificare molto i rapporti. «JOINT VENTURE PER GAS E PETROLIO». Parlando già da presidente, Duterte oggi ha detto che negoziati multilaterali sulla sovranità sulle risorse del Mar cinese dovrebbero includere anche Stati Uniti e Giappone. Ha poi aggiunto che la Cina, invece di cercare lo scontro, dovrebbe rispettare la zona economica esclusiva delle Filippine nelle acque antistanti le sue coste e che i due Paesi dovrebbero piuttosto lavorare insieme nello sfruttamento dei giacimenti offshore di gas naturale e petrolio. "Benissimo una joint venture" ha detto mentre i primi risultati dello spoglio lo davano vincente. SANGUE SUL VOTO. Le operazioni di voto si sono svolte tra imponenti misure di sicurezza, dopo una campagna elettorale in cui si sono contati 15 morti. Secondo il portavoce delle Forze Armate, tra agguati, esplosioni, incendi e molestie, sono stati segnalati 22episodi di violenza legati alle elezioni. Il più grave a Rosario, a sud di Manila, dove un fuoristrada e due motociclette sono state prese di mira da un gruppo di uomini armati che ha ucciso sette persone.
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