mercoledì 30 novembre 2022
E' considerato uno dei massimi artefici della nuova assimilazione dell'economia capitalistica in un sistema comunista
L'ex presidente cinese Jiang Zemin, morto oggi all'età di 96 anni

L'ex presidente cinese Jiang Zemin, morto oggi all'età di 96 anni - Reuters

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Era stato lui a guidare la Cina verso la modernizzazione dalla fine degli anni Ottanta e un ruolo globale con l’inserimento nell’Organizzazione mondiale del Commercio nel 2001 a cui era seguita una crescita tumultuosa. Era stato ancora lui a guidare il primo trasferimento non cruento dei poteri nella Repubblica popolare cinese dalla sua nascita nel 1949 passando il testimone di presidente della repubblica e segretario generale del Partito comunista cinese a Hu Jintao, che a sua volta ha preceduto l’attuale, Xi Jinping.

Fuori dalla scena pubblica dal 2019, Jiang Zemin, ex è morto a 96 anni poco dopo la mezzanotte a Shanghai per cause che i media ufficiali hanno indicato come leucemia e cedimento di vari organi.

Arrivato al potere nell’ottobre 1989 quando ancora erano forti gli echi della repressione di piazza Tienanmen della primavera precedente prendendo il timone del Paese dalla controversa gestione di Deng Xiaoping, Jiang seppe interpretare le necessità di cambiamento pure nella stabilità richiesta dalla sua leadership del partito unico. In questo consolidando un sistema condiviso al vertice che coordinasse varie tendenze senza per questo provocare fratture che sarebbero potute risultare destabilizzanti, ma indirizzando le energie nello sforzo di cambiare le prospettive del Paese, facendolo uscire dalle secche ideologiche per avviare una cooperazione economica e un confronto strategico con le altre potenze mondiali. In questo avendo presente il crollo dell’Unione Sovietica, che avevano amplificato i timori di una possibile esplosione delle tensioni e delle diversità nel suo Paese. Alla cauta accoglienza delle aspirazioni a un maggiore benessere e apertura a istanze sociali purché non in contrasto con stabilità e principi ideologici si associò la possibilità per i cinesi di accogliere molto del mondo esterno.

Al punto che anche dopo la fine del secondo mandato come leader, la sua influenza continuò in modo diretto, come esponente politico e mentore della nuova leadership, ma anche, ad esempio con l’attuazione delle Olimpiadi di Pechino nel 2008, assegnate durante la sua presidenza e evento simbolico di prima grandezza.

Parlando di eventi significativi, l’espulsione di Hu Jintao dalla Grande sala del Popolo affacciata su Piazza Tienanmen, lo scorso 22 ottobre durante il XX Congresso del Partito comunista che doveva “incoronare” Xi Jinping al terzo mandato da Segretario generale, è sembrato siglare un’epoca. Ufficialmente allontanato per “ragioni di salute”, per diversi minuti prima che venisse prelevato da due addetti, il 79enne Hu – a poca distanza da Xi Jinping - aveva cercato inutilmente di visionare documenti posti davanti a un collega al suo fianco.

Quelle immagini che hanno fatto il giro del mondo hanno segnalato platealmente quanto la leadership collettiva coltivata da Hu come dal suo mentore Jiang sia ormai lontana e come invece sia senza alternative la necessità per “le organizzazioni del Partito comunista cinese, i suoi membri e il sistema politico a ogni livello” di “unirsi strettamente attorno al comitato centrale del partito con il camerata Xi Jinping al suo centro” indicata nel VI Plenum del Comitato centrale del Pcc nel 2016. Questo è l’unico e indispensabile orizzonte che la Cina ha oggi di fronte, guidata da un leader dai pieni poteri e dall’ego smisurato che alla stabilità del partito-stato ma ancor più al suo potere assoluto è pronto a subordinare ogni problematica interna e esterna.

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