venerdì 21 ottobre 2022
Secondo la Bbc, Elnaz Rekabi, accolta con applausi e slogan al suo rientro nella capitale iraniana, è agli arresti domiciliari in attesa di formulare una "piena confessione" del suo "reato"
L'atleta Elnas Rekabi al suo rientro a Teheran

L'atleta Elnas Rekabi al suo rientro a Teheran - Ansa

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Eroina per un giorno a Teheran ma con le manette già pronte a scattare ai polsi: Elnaz Rekabi, l'atleta iraniana che ha gareggiato senza il velo sfidando la Repubblica islamica, accolta con applausi e slogan al suo rientro nella capitale iraniana è agli arresti domiciliari in attesa di formulare una "piena confessione" del suo 'reato'.

La 33enne, ha rivelato il canale in persiano della Bbc citando "fonti informate", è stata portata direttamente dall'aeroporto, dove era attesa da una folla di oltre mille persone, all'incontro con il ministro dello Sport Hamid Sajjadi.

Qui, all'Accademia nazionale olimpica dove era già scortata dai famigerati uomini della sicurezza iraniana in borghese, è stata scattata la foto di rito con il responsabile del governo da dare in pasto all'opinione pubblica internazionale, come a sancire la fine della vicenda. Ma alle autorità di Teheran non sarebbe bastato il tentativo della scalatrice di ridimensionare il gesto - "l'hijab mi è caduto per errore", aveva scritto dopo la gara - e sarebbe stata minacciata con la confisca di oltre 250mila euro di beni appartenenti alla famiglia.

Ora, riferiscono ancora le fonti, è "sotto pressione", evidentemente per scollegare in maniera netta il suo gesto clamoroso ai Campionati asiatici in Corea del Sud, dove ha partecipato alla finale senza l'hijab, dalle proteste che infiammano il Paese. Il velo è obbligatorio in pubblico dal 1979 nell'Iran degli ayatollah, ed è al centro delle manifestazioni represse nel sangue, oltre 240 i morti, dopo la morte di Mahsa Amini, la 22enne curda deceduta dopo essere stata arrestata dalla polizia morale perché non portava il velo in modo corretto.

Anche ieri centinaia di manifestanti sono scesi per le strade di Zahedan, nel sud-est dell'Iran, la stessa città dove lo scorso 30 settembre le forze dell'ordine uccisero almeno 93 persone, in quello che è stato definito il "Venerdì di sangue". I manifestanti hanno urlato "Morte al dittatore", ovvero il leader supremo Ayatollah Ali Khamenei.

E un gruppo di personalità del mondo del calcio e dello sport iraniani ha inviato una richiesta formale alla Fifa di procedere alla sospensione della Federazione calcio dell'Iran - e quindi di escludere la nazionale dai Mondiali alle porte - sostenendo che il divieto di accesso negli stadi del Paese per le donne contravviene alle regole della Federazione. Nella missiva, il gruppo sottolinea che l'attuale situazione nel Paese giustifica la richiesta "di una dissociazione inequivocabile e ferma dal mondo del calcio e dello sport".

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