domenica 21 gennaio 2024
La proposta del Consultorio familiare di Treviso. La psicologa Marta Benvenuti: l’iniziativa si propone di costruire buone relazioni affrontando il tema delle emozioni e affrontare i conflitti
La psicologa Marta Benvenuti

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Si chiama “Bruchi e farfalle” il nuovo percorso del Consultorio familiare di Treviso nato per favorire il dialogo tra mamme e figlie sui temi dello sviluppo fisico ed emotivo- relazionale. Ne abbiamo parlato con Marta Benvenuti, psicologa e psicoterapeuta del Centro della Famiglia, che coordina l’iniziativa. Il Centro, nato per dare aiuto alle coppie, negli ultimi anni si è costituito in Consultorio socio-sanitario di ispirazione cattolica aperto a tutti.

Come è strutturato il corso?

La riflessione da cui partiamo è sulla corporeità: «Se sto bene con il mio corpo e sono in casa nel mio corpo è più probabile che stia bene con gli altri». L’obiettivo è riuscire a costruire buone relazioni, risolvere i conflitti in maniera civile e trovare coerenza in ciò che si fa. Il percorso si snoda in quattro incontri settimanali di due ore ciascuno a partire dal 23 gennaio. Si affrontano tematiche diverse: dal linguaggio del corpo durante la crescita e le emozioni ad essa collegate all’anatomia maschile e femminile, dal ciclo mestruale alle variazioni ormonali, fino a come parlare di sessualità e vivere i cambiamenti in modo sereno e naturale. Sono previste attività in un grande gruppo o a piccoli gruppi, visione di filmati e discussioni, momenti di brainstorming e condivisione dell’esperienza. Oltre a me, a condurre c’è un’ostetrica e uno psicosessuologo.

Perché il Consultorio non ha pensato di coinvolgere nella sua iniziativa anche i maschi che, stando ai fatti di cronaca, risultano più bisognosi?

In realtà stiamo preparando anche il coinvolgimento dei maschi e un progetto figlio-genitore. Certo, i nostri sono interventi spot, una goccia nel mare se pure necessaria. È importante fare rete con genitori, insegnanti… Speriamo che i nostri semi cadano in un terreno fertile. A livello sociale occorrerebbe una presa in carico più ampia.

A chi è rivolto il percorso?

La fascia di età è 10-13 anni. L’età in cui cambia il corpo e la sfera emotiva. Molte scuole ci chiedono incontri di questo tipo nelle classi. Cominciamo già dalle elementari per andare nelle medie e anche nelle superiori. Nelle scuole lavoriamo molto sulle emozioni, sulla capacità di riconoscere le proprie e di leggerle negli altri. In sostanza di sviluppare l’empatia. Si impara che si possono avere emozioni diverse. Che non sempre una carezza o un tono di voce possono far piacere e che il nostro corpo ci manda tanti segnali e campanelli di allarme per dire basta e allontanarsi. Come, ad esempio, la sensazione di imbarazzo o di vergogna. È importante riuscire a capire come ci si sente: spesso le emozioni salgono di livello e sono difficili da gestire, allora ci si deve autoregolare. Quando, poi, subentrano gli ormoni la situazione si complica. Conoscere è il primo passo per imparare a far fronte alle pulsioni emotive.

Cosa significa saper stare nelle relazioni?

Significa giocare a carte scoperte. Se una relazione finisce si sta male, ma si impara a gestire il dolore. Per esempio, si chiede aiuto se si è in difficoltà perché ci si conosce e si sa fin dove si può arrivare da soli.

Quali sono i problemi che vede nelle ragazze e nelle mamme?

C’è una grande fatica nella comunicazione anche con un genitore dello stesso sesso. Spesso le ragazzine non vogliono avere le mestruazioni, vivono i cambiamenti del proprio corpo con disagio. Per contro le mamme spesso non riescono a trovare il tempo per parlare con calma e ragionano con una testa adulta, dimenticandosi delle paure legate all’adolescenza. A loro chiediamo di rallentare e di ragionare con le strutture mentali delle figlie.

Che metodo viene utilizzato?

Utilizziamo laboratori molto concreti e giochi collaborativi. Ci si abitua a sentire, ad ascoltare il proprio corpo. Si impara ad avvicinarsi all’altro a osservare. Poi ragioniamo molto sugli adescamenti online. Molti ragazzi pensano di giocare e basta sul web e non si chiedono chi ci sia dall’altra parte. Insegniamo loro a tenere “le antenne alte” e a come comportarsi.

Cosa chiedono i partecipanti?

Chiedono principalmente il confronto in gruppo e sentono il bisogno di rispecchiarsi nell’altro. Cercano competenze e desiderano costruire relazioni migliori. Oggi si riconosce l’urgenza e la necessità di questi percorsi ed è un bene, ma non bisognerebbe lavorare sempre sull’emergenza. Ci sono tanti casi che sfuggono alla cronaca. A volte si tratta di violenze verbali dalle quali è difficile risollevarsi. Occorre seminare prima. Dare alle persone gli strumenti per conoscersi, per stare bene con se stessi, sentirsi a casa nel proprio corpo e così costruire relazioni sane, pulite e chiare.

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