venerdì 26 aprile 2024
La tormentata volontà di credere nell'amore radicale di Cristo diventa preghiera nelle parole di un ragazzo omosessuale. Un libro che interroga. Qui la prefazione del vescovo di Cassano all'Jonio
«Se per nostro figlio gay la vita è una via crucis»
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“Tu muori già qui. Non saranno i chiodi, non saranno le cadute, non sarà l’asfissia sulla croce, né il colpo al cuore alla fine di tutto. Muori già qui. Basta il grido di quella gente che ti vuole morto a ucciderti. Basta la condanna di questi che tu conoscevi uno a uno, e amavi uno a uno, a farti morire dentro. Il resto – i chiodi, le cadute, la croce, la lancia – sarà solo uccidere un uomo morto. Sono morto dentro tante volte anche io, Gesù, quando una parola leggera mi ha condannato. Quando una confidenza tradita mi ha svelato. Quando una risata senza pensiero mi ha ferito…”.

È l‘inizio della prima stazione di Via crucis di un ragazzo gay (Castelvecchi, pagg. 96, euro 17,50), libro insolito e drammatico di Luigi Testa che interroga da vicino i temi della fede e dell’omosessualità. L’autore, docente di Diritto pubblico comparato all’Università degli Studi dell’Insubria e Diritto pubblico all’Università Bocconi, non fa mistero della sua ferma volontà di credere, una volontà tormentata dalla sua condizione esistenziale che suscita ancora tanti pregiudizi nella società e, soprattutto, nella Chiesa, ma mostra che l’insegnamento dell’amore radicale di Cristo include tutti e non esclude nessuno. “Il cristiano – scrive nella postfazione don Sergio Massironi, teologo del Dicastero per il Servizio Umano Integrale - consapevole dal male e colpito a più riprese nella quotidiana battaglia, inserisce la propria semplicità tra molte ambiguità e contraddizioni. È un innamorato. Apparentemente disarmato, ha in sé un fuoco capace di sciogliere il gelo che paralizza i cuori e gli ambienti di vita, un fuoco che raduna i distanti e li rallegra”.

La lettura di questo testo che non è autobiografia ma preghiera - già pubblicato anche in tedesco e in inglese - appare quanti mai opportuno per quei genitori che, sorpresi dal coming out del proprio/a figlio/a, si interrogano dolorosamente anche sulla qualità della sua vita di fede. “Potrà rimanere ancora un credente, potrà continuare ad essere accolto dalla Chiesa?”. Una risposta può arrivare dalla prefazione del vescovo di Cassano all’Jonio, Francesco Savino, vicepresidente Cei, che pubblichiamo di seguito.

Il cristianesimo è un incontro col mistero, possibile solo a chi si sporca di terra e di sangue. D’altra parte, nell’ultimo libro della Bibbia è il sangue a rendere bianche le nostre vesti e nel primo è dal-la terra che siamo plasmati. Il soffio dello Spirito, il respiro di Dio, da cui le pagine di questo libro sono rese vive e leggere, non porta altrove la nostra umanità, perché Dio ha tanto amato il mondo da dare a noi il suo Figlio. Siamo discepoli di carne e sangue; siamo animati da una brezza leggera, che talvolta diviene vento impetuoso, per dare continuità al grande amore che ci si è fatto incontro. L’esercizio della via crucis, nella religiosità popolare, è un cammino che fa diventare ogni luogo terra santa.

Ricollocandoci sulla strada accidentata percorsa dal Figlio nell’ora decisiva della salvezza, unisce al suo dolore tanti nostri dolori. Forse per questo è una preghiera compresa dagli umili, che dall’interno conoscono lo svuotamento – kenosi – e gli ostacoli che l’essere giusti comporta in un mondo occupato da strutture di peccato resistenti e pervicaci. Tenere fisso lo sguardo su Gesù aiuta a comprendere che se tutto crolla non si è necessariamente sbagliato strada. Occorre entrare nel mistero del seme che solo sepolto nella terra muore e porta frutto. Quando questo avviene, Gerusalemme è dove sei tu.

Di questo libro mi colpisce il titolo. Diretto, dirompente. Unisce in sé quanto di più tradizionale le nostre comunità ecclesiali sanno offrire con ciò che troppo a lungo hanno emarginato e crocifisso; una devozione che lega i cattolici alla passione di Cristo e un modo d’essere che si è condannato senza appello all’invisibilità.

Ho immaginato di trovare in queste pagine un cammino autobiografico, simile alla via crucis percorsa da tante e tanti omosessuali credenti che il ministero pastorale mi ha consentito di conoscere e accompagnare. Ho scoperto, invece, come la fede abbia liberato l’autore da una eccessiva concentrazione su di sé, rendendo il suo scritto una commovente meditazione del mistero pasquale come rivelazione dell’amore che ogni essere umano invoca. Deve molto sorprenderci la capacità di non fare dell’ideologia da parte di chi sente profondamente di appartenere a una Chiesa che pure lo ha fatto molto soffrire.

Molte istanze di rinnovamento, in effetti, sono frenate o respinte dall’insinuazione che vengano da agende estranee alla missione evangelizzatrice. Anche guardare negli occhi le persone con un orientamento sessuale diverso da quello maggioritario, vedere in essi lo sguardo di figli di Dio, comprendere il loro desiderio di amare e la bellezza dei legami che sanno costruire è liquidato da alcuni come un debole ripiegamento sullo spirito del tempo. Noi confessiamo, però, che lo Spirito ci accompagni nel tempo, che la Rivelazione sia da ogni generazione e da ogni creatura sempre da accogliere nuovamente: solo così cresce e si attualizza la nostra comprensione della larghezza, della lunghezza, dell’altezza e della profondità dell’amore di Cristo. La via crucis di molti nostri contemporanei è legata alle ferite nei loro affetti fondamentali.

La riflessione sinodale sulla famiglia, coronata dall’Esortazione Apostolica Amoris laetitia di Papa Francesco, ha sospinto la Chiesa a uscire più coraggiosamente da se stessa e dalle proprie consuetudini, per abbracciare la realtà: carne e sangue di vite chiamate alla gioia dell’amore. Si tratta di una del-le gioie più incarnate dell’esistenza e ognuno ha il proprio meraviglioso e tormentato cammino con cui esporsi all’intimità di altre vite. Abbiamo una comprensione della sessualità in profonda evoluzione, molto più ricca, libera e aperta di quanto fosse dato nelle società tradizionali. Spesso come comunità ecclesiale corriamo il rischio più di temere che accogliere quanto di buono possa emergere dai rapporti tra le persone con la propria e l’altrui corporeità.

Molti sforzi sono stati fatti, anche in ambito teologico, per delineare una fenomenologia dell’amore umano, ma sino a oggi più preoccupati di giustificare la dottrina e la prassi tradizionali che di ascoltare i vissuti di chi vive “l’amore possibile” (A. Fumagalli, L’a-more possibile, Cittadella, 2020). È incalcolabile il numero di persone che hanno abbandonato la Chiesa perché dal suo insegnamento si sono avvertire più giudicate che ispirate, più condannate che accompagnate. La cura di Gesù per le singole coscienze e il loro faticoso cammino – unito al discernimento del bene da valorizzare – sono tratti che la comunità ecclesiale non può dimenticare! Questo libro ci porta a gustare la fede di coloro che spesso la Chiesa ha liquidato come pubblici peccatori, cui negare sacramenti, ministeri e soprattutto voce, nome, visibilità. In quanti pronunciamenti, in quante comunità, in quante case abbiamo fatto sentire sbagliati dei figli amati da Dio?

L’invito di Papa Francesco a uscire verso le periferie esistenziali, a fare della Chiesa un ospedale da campo, a lasciarci evangelizzare da chi sta ai margini trova in queste pagine una esemplificazione formidabile. Nel ringraziare il direttore editoriale di questa collana, il caro don Sergio Massironi, teologo del Dicastero per il Servizio Umano Integrale, voglio sottolineare la forza della “teologia dalle periferie” che con tenacia va promuovendo. Ringrazio Luigi Testa, autore di questa via crucis, che ora potrà nutrire la meditazione personale e la nostra preghiera comunitaria: svelandosi col proprio nome e cognome, emerge come un testimone luminoso per la Chiesa del nostro tempo e fa venire allo scoperto l’opera di Dio che supera le lentezze e i pregiudizi umani, troppo umani. Sì, cari lettori: Dio ci supera da ogni parte, è più nuovo di qualsiasi moda o dottrina, ci dona questo nostro tempo come kairos in cui aprirci alla sua vita.

Ricordo il mio maestro, il vescovo don Tonino Bello, che diceva: «Al Golgota si va in corteo, come ci andò Gesù. Non da soli. Pregando, lottando, soffrendo con gli altri. Non con arrampicate solitarie, ma solidarizzando con gli altri che, proprio per avanzare insieme, si danno delle norme, dei progetti, delle regole precise, a cui bisogna sottostare da parte di tutti. Se no, si rompe qualcosa. Non il cristallo di una virtù che, al limite, con una confessione si può anche ricomporre. Ma il tessuto di una comunione che, una volta lacerata, richiederà tempi lunghi per pazienti ricuciture».

La Chiesa o è inclusiva o non è! Il processo sinodale in corso ci faccia crescere in questa inclusività nella misura in cui siamo disposti a curare molte lacerazioni. Esse riguardano spesso la sfera più intima dei battezzati, cioè la dimensione affettiva. Nessuno, dunque, si scandalizzi di questa via crucis: è la via di Gesù che volendo amare ciascuno radicalmente e definitivamente ha pronunciato la meno compresa delle beatitudini: «Beato colui che non si scandalizza di me».

*Vescovo di Cassano all’Jonio, vicepresidente della Conferenza Episcopale Italiana

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