Il bello dell'accoglienza in famiglia in 8 storie
Dall’affido all’adozione, abbiamo dato voce alle famiglie che hanno spalancato la vita a un bambino in difficoltà scoprendo che figli (e genitori) si diventa nell’amore che si riceve
Adozione e affido con il sorriso. Non è vietato per una volta raccontare l’accoglienza modello famiglia con le storie positive di chi ce l’ha fatta, di chi ci sta riuscendo, di chi sta lottando per farcela. E le otto belle storie che presentiamo hanno appunto l’obiettivo di mostrare l’altro volto dell’adozione e dell’affido. Quello lieto e sereno, anche se non meno consapevole delle difficoltà che si intrecciano dietro queste scelte di generosità e di coraggio. Da tanti anni su Avvenire non ci stanchiamo di promuovere le famiglie, le associazioni, gli enti, le realtà tutte che concorrono a sostenere la decisione di coloro che aprono le porte di casa a un bambino in difficoltà. Atto generativo per eccellenza non solo perché da sempre siamo convinti che un minore accolto non è un “bambino adottato” o un “bambino in affido” è un figlio. E basta. Sia perché siamo altrettanto convinti che, se alle radici di questa scelta non può che esserci una famiglia, quella mamma e quel papà da soli non possono farcela. Serve il concorso di una rete complessa in cui pubblico e privato viaggiano insieme sulla stessa lunghezza d’onda. Talvolta succede, come dimostrano le circa duemila famiglie che si aprono ogni anno all’adozione – tra nazionale e internazionale – e alle oltre 16mila che accolgono un minore in affido. Piccoli numeri di fronte alle necessità? Certo, basti pensare che nelle comunità d’accoglienza per minori vivono, solo in Italia, oltre ventimila bambini e ragazzi di cui la maggior parte potrebbe trarre preziosi vantaggi da un affido familiare. Ma anche che nel mondo gli orfani sarebbero – secondo dati Unicef – oltre 150 milioni. Ora, al di là di tutte le difficoltà, le inefficienze, le lentezze burocratiche e legislative più volte raccontate, sarebbero possibile avviare un percorso di rilancio per l’affido e l’adozione? Noi ci crediamo e ci crede anche il Forum delle associazioni familiari, la Regione Lombardia e il Comune di Milano che hanno voluto, proprio nel capoluogo lombardo, la prima Biennale dell’accoglienza: due giorni di riflessioni e dibattiti con istituzioni, terzo settore, esperti per lanciare un messaggio di speranza. L’adozione e l’affido con il sorriso non sono un’utopia, ma una possibilità concreta che può diventare risorsa globale. Basta volerlo davvero.
L’affido non è solo cura per il bambino che accogli, ma un intreccio di legami che ti cambiano. In dieci anni, con i nostri quattro figli, abbiamo accolto sei piccoli in stato di abbandono. Ognuno ci ha insegnato ad amare senza pretendere nulla. Con Sofia, lasciata in ospedale alla nascita, abbiamo imparato che l’amore si impara a mani nude, giorno dopo giorno. Da lei e dai suoi genitori adottivi è nata un’amicizia che ancora oggi ci unisce, come una famiglia allargata dal cuore.

5 luglio 2011, è il momento: vediamo i nostri figli per la prima volta, arrivano mano nella mano: “Tu eres mi mamà?” chiede il grande con un soffio di voce. “Sì… Yo soy tu mamà”. Da allora sono trascorsi ormai più di 14 anni. Camminare insieme non è stato facile. Spesso, siamo stati il loro pungiball e lo siamo tutt’ora nei giorni in cui le ferite che hanno dentro tornano a sanguinare. Ma sanno benissimo che il nostro amore per loro è incondizionato e che per loro noi ci saremo sempre, nonostante tutto.

L’affido ci ha insegnato che accogliere non è curare, e non è nemmeno solo dare amore, ma lasciarsi trasformare. Con Luca abbiamo tutti imparato che nessuno è di nessuno e che in fondo tutti siamo affidati a qualcuno. Non sono mancati momenti difficili, domande, paure: nei suoi sette anni ci sono ferite e domande difficili. Ma tra litigi, confidenze e sorrisi è nato un legame vero, che va oltre il sangue: una fratellanza fatta di fiducia, rispetto e quella fatica meravigliosa che è imparare ad amare davvero.

Dal primo abbraccio con nostra figlia Jussara Rita, in Brasile, l’emozione non ci ha mai lasciati. Aveva tre anni ma il corpo di pochi mesi, e negli occhi la promessa di un amore reciproco. Adottare un figlio con bisogni speciali è una scelta impegnativa, ma l’amore ti spinge sempre verso ciò che è più difficile e vero. Oggi, dopo ventitré anni, Jussara è rinata e noi con lei: ogni volta che ci dice “sono felice di essere vostra figlia” capiamo che è lei ad averci adottati.

Oggi guardiamo le nostre figlie, ormai donne di 18 e 19 anni, e non possiamo che pensare al dono immenso che sono. L’adozione per noi è stata un cammino di speranza: imparare a credere ogni giorno nei loro talenti, trasformare il dolore in forza, la mancanza in sensibilità verso l’altro. Ora che abbiamo con noi un bimbo in affido, vediamo quanto amore sanno donare. Ringraziamo i loro genitori biologici, senza cui non ci sarebbe stata questa storia. L’accoglienza è pura bellezza.

Aprile 2013: una telefonata dal tribunale di Trieste ci cambia la vita. Ci chiedono se vogliamo accogliere Bryan, un bambino di sette anni che vive in una casa famiglia. Serviva una risposta entro un giorno. Durante il viaggio di ritorno capiamo che sì, sarà nostro figlio. All’inizio non è stato facile: Bryan ci metteva alla prova, cercava conferme d’amore. Ma non eravamo soli: l’associazione, il gruppo di auto mutuo aiuto, i servizi sociali, tutti ci hanno sostenuto. Oggi Bryan è parte di noi, come se lo fosse sempre stato.

Siamo una famiglia normalissima, con le nostre fatiche e le nostre gioie. Qualche anno fa abbiamo scelto l’affido: non potevamo accettare che una bambina restasse sola in istituto. È arrivata fragile, con una disabilità cognitiva e un passato difficile. All’inizio ci siamo sentiti impreparati, ma abbiamo capito che non serviva essere medici: bastava esserci, ogni giorno. Oggi i suoi sorrisi raccontano la forza dell’amore che cura, trasforma e restituisce fiducia alla vita.

Eravamo appena sposati quando i primi due fratellini sono arrivati a riempire la nostra casa. Il nostro stargli accanto, a volte in silenzio, per accogliere i loro vissuti traumatici sospendendo ogni giudizio, ci ha permesso di sperimentare la nostra maternità e paternità per farli rinascere nell’amore. Da quell’affido è nata la scelta di vivere con la porta aperta per chi ha bisogno. Ogni bimbo accolto ha lasciato un segno profondo. Anche lasciarli andare è un atto d’amore, un ponte che continua a unire.

© RIPRODUZIONE RISERVATA






