Cibo, tempo, relazioni: 5 modi per non sprecare il Natale

In famiglia lo spreco non riguarda solo ciò che si butta, ma soprattutto ciò che non si vive. Le feste sono l'occasione per riscoprire i legami, ascoltarsi, rimettere al centro le cose che contano davvero
December 20, 2025
Regali di Natale
Regali di Natale
Riflettere sullo spreco, perché proprio a Natale? Potremmo dire che è tra le opportunità migliori per ritrovare il senso del mistero e della bellezza che racchiude questa festa. Potremmo dire che il Natale, la più attesa, la più intima, la più familiare delle feste, rischia di diventare un festival dello spreco. Tutto e di più. E non ci va bene, perché il Natale non può essere solo questo. Per capire quanto spreco ci sia nei giorni che precedono il ricordo della nascita di Gesù e per ripensare all’insieme di significati, di sensazioni profonde, di emozioni autentiche, ma anche, rovesciando la medaglia, di obblighi e di stereotipi che questa festa sollecita se vissuta come evento mondano e non come ricorrenza religiosa, vorremmo proporvi di partire dal concetto di spreco.

Cosa ci viene in mente quando mettiamo la parola spreco accanto alla parola Natale?

Pensiamo a un momento che, in questi giorni, tutti noi abbiamo vissuto, più o meno volentieri. L’ingresso in un centro commerciale agghindato per il Natale. Tutto, dai colori alle musiche, è preparato per la festa. Ma cosa si festeggia? Pochi lo ricordano, anche perché nella scenografia non c’è nessuna traccia, o quasi, del festeggiato. C’è invece un trionfo di fiocchi luccicanti, decorazioni, luci. Facile lasciarsi assorbire dall’atmosfera, dalle musiche, dai simboli natalizi che ormai sono quasi esclusivamente le renne di babbo Natale, alberelli, paesaggi innevati, campanelli, cerbiatti, pacchi regalo e altre tenere amenità. Tutto bellissimo, naturalmente, tutto speciale. Non vogliamo ripetere la solita critica moralistica e un po’ stucchevole all’insegna del radicalismo anti-consumistico. Offrire e ricevere un regalo in occasione del Natale da parte di una persona cara è un momento bellissimo, a patto di comprenderne il significato e di mettere da parte quella brutta tentazione che, in un quadro di consuetudini di cui si sta smarrendo il senso, si chiama spreco inconsapevole. Ecco perché vorremmo essere in grado sempre, ma particolarmente in questi giorni, di attivare una funzione preziosa, il senso critico, proprio quel campanello interiore che parla di giustizia, di sobrietà, di misura, di equilibrio, di discernimento, di umanità vera. E vorremmo anche aiutare i nostri figli a comprenderne il significato e a guardare con distacco i riti dell’impero consumista. Ripetiamo, non per estraniarsi e per vivere in una bolla lontano da tutti. Non sarebbe possibile. E forse neppure giusto. Ma per dare a tutte le cose il loro valore. Cos’è questo campanello interiore? È un bip che trilla adagio adagio nel profondo della coscienza e che la società dei consumi vorrebbe spegnere o comunque riconvertire secondo la logica dell’acquisto, magari non compulsivo, ma almeno allegro, frequente e spensierato. Noi invece vogliamo lasciare spazio alla nostra capacità di moderazione e di riflessione, anche quando all’interno del centro commerciale veniamo accolti da una sfilata infinita di proposte d’acquisto straordinarie. Difficile resistere, lo sappiamo. Scaffali luccicanti, oggetti invitanti, novità a cui non si può rinunciare. E, nel reparto alimentari, montagne di cibo gustosissimo, prelibatezze e preparazioni gourmet di cui, proprio a Natale, sembra obbligatorio riempire la dispensa.
Ma è proprio così? Le statistiche sono impietose e ci obbligano a riflettere. Ogni famiglia italiana durante le feste natalizie butterà nella spazzatura cibo non consumato per un valore di 90 euro. E sugli scaffali dei supermercati resteranno alimentari invenduti per un miliardo di euro, uno sterminato ben di Dio che per la maggior parte andrà direttamente in discarica, aggiungendo al peccato dello spreco l’ingiustizia di aumentare le diseguaglianze. Non si tratta naturalmente di cancellare la festa – lo ripetiamo fino alla noia - ma limitare per quanto possibile, se non eliminare del tutto, lo spreco. Perché tutte quelle risorse che finiscono nel bidone non solo soltanto un’offesa gravissima alle persone più povere, in ogni parte del mondo, ma diventano una ferita ecologica integrale. Che tocca cioè, tutti gli aspetti della nostra vita. Nella sfera ecologica integrale c’è l’ambiente, c’è la nostra salute, c’è la solidarietà, c’è anche l’economia perché, come spiegano gli esperti, i benefici derivanti da un’impennata episodica dei consumi sono soltanto fittizi. E, cosa più rilevante, c’è un importantissimo profilo educativo.
Cosa significa? Quello spreco di cose, di cibo, di risorse, di tempo per produrle, distribuirle e infine smaltirle, diventa il simbolo di un atteggiamento culturale, cioè di una deriva antropologica che abbiamo imparato a riconoscere come società dello scarto, in cui occasioni, tempo, relazioni, opportunità, valori vengono sprecati in nome di un radicato egoismo, di una diffusa inconsapevolezza, di abitudini riprovevoli, di falso efficientismo, di una logica malsana impastata di autoreferenzialità e di indifferenza. Ecco perché solo un Natale senza spreco, nel senso largo a cui abbiamo accennato, può essere davvero un Natale cristiano. Ed ecco perché riflettere sullo spreco proprio alla vigilia di Natale può diventare un dono prezioso per tutti noi. Conoscere e capire serve per agire meglio. Noi proviamo a farlo.

Perché è intollerabile lo spreco di cibo?

Secondo le stime della Fao, l’organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e lo sviluppo, una persona che vive in Europa o in America del Nord, spreca in media tra i 95 e i 155 kg di cibo all’anno. Nell’Africa subsahariana questo spreco si riduce a 6-11 kg a persona, di cui il 35 per cento provenienti da fonte animale, il 20 per cento da fonte vegetale. C’è quindi un diretto rapporto tra la quantità di cibo a disposizione e lo spreco alimentare. Più cibo viene prodotto, più cibo viene acquistato, più ne viene sprecato. Sembra un circolo vizioso da cui è difficile uscire. Ma dobbiamo farlo perché il cibo sprecato non rappresenta solo un problema etico – con tutto il cibo prodotto oggi a livello mondiale si potrebbero sfamare 12 miliardi di persone - ma è una scelta che incide in modo pesantissimo sulle risorse del pianeta, come l’acqua, la terra, l’energia. Non solo. Produrre cibo che non sarà mai consumato incide sull’equilibrio ambientale perché contribuisce alla deforestazione di larga parte del pianeta e, in misura più o meno identica, alla crescita di monoculture che impoveriscono la biodiversità. Quando poi il cibo non consumato poi finisce nelle discariche si producono quantità enorme di gas metano e di anidride carbonica – secondo la Fao 3,3 miliardi di tonnellate di CO2 ogni anno – equivalente alle emissioni totali di un grande Stato. Solo Stati Uniti e Cina mandano ogni anno nell’atmosfera quantitativi di gas maggiori. Ma quali sono le cause di questo spreco? Da una parte ci sono le cosiddette overdose produttive che derivano dalla stessa filiera alimentare, cioè la produzione, la distribuzione e la conservazione del cibo. Dall’altra c’è lo spreco domestico che deriva dalle nostre cattive abitudini, dagli stili di vita, dalla scarsa educazione e da una consapevolezza diffusa ancora più evanescente e frammentaria. La letteratura scientifica ha da tempo aperto un dibattito di grande interesse sia sulle possibilità di ridurre lo spreco alla fonte – cioè produrre meno e meglio - sia sulle modalità più opportune per incidere sulle abitudini alimentari delle persone. Uno studioso attento e preparato come Andrea Segré, docente di politica agraria e comparata all’Università di Bologna, ha calcolato che lo spreco alimentare equivale all’1% del PIL e che per l’80 per cento si produrrebbe tra le mura domestiche, smentendo le accuse spesso rivolte alla produzione eccessiva governata dalle multinazionali, alle carenze della grande distribuzione e ad altre cause macro-economiche. Altri studi indicano che la responsabilità domestica inciderebbe per il 58% dello spreco, mentre il 28% del cibo verrebbe perso nei diversi passaggi della grande distribuzione. Se queste ipotesi fossero vere – ma non abbiamo alcun elemento per sostenere il contrario – sarebbero soprattutto le famiglie a dover recitare il mea culpa.
Ma è proprio così? Sullo spreco alimentare sono stati scritti decine di volumi e il dibattito, tuttora in corso, è talmente ampio e complesso da non poterlo sintetizzare qui. Ma al di là delle diverse responsabilità, rimane l’impegno di riflettere sulla questione, di tenere vivo il problema, di accompagnare i figli a scelte e comportamenti all’insegna della sobrietà e della salute, pur senza atteggiamenti di integralismo ambientale e di consumismo talebano. Ripetiamo. Non si tratta di intristire il clima delle feste. E neppure di pretendere che la tavola di Natale sia spoglia e desolante. Non è questo il punto. Ma proprio in questi giorni, in cui è più facile cedere alla tentazione di intasare il frigo con alimenti superflui e con quantità eccessive di scorte che rischiano di rimanere in buona parte inutilizzate, la questione spreco non andrebbe dimenticata perché ci riguarda da vicino, riguarda noi e il futuro dei nostri figli. Sarebbe bello potersi sedere al pranzo di Natale con la coscienza più leggera perché la certezza di aver sprecato il meno possibile apre il cuore a sentimenti di giustizia e di equità. E, agli occhi dei figli, raccontato con le parole e con gli esempi giusti, diventa una scelta educativa di grande efficacia.

Cosa vuol dire “non perdere tempo”?

In questa riflessione sullo spreco siamo partiti dal cibo perché si tratta dell’aspetto più eclatante, più immediato, quello che non si può ignorare. Nella vita in famiglia – e non solo – esistono però altri tipi di spreco, non meno gravi e detestabili, su cui abbiamo il dovere di tenere viva l’attenzione, la nostra e quella dei nostri figli. Lo spreco di tempo, per esempio. Un elemento fondamentale della nostra vita che è al tempo stesso un dono e un mistero. “Non perdere tempo”, l’ammonizione che una volta veniva rivolta ai ragazzi da genitori ed educatori, riassume in qualche modo la ricchezza di un dato che non definisce solo lo scorrere delle ore e dei giorni, ma guarda con rispetto e con attenzione a una realtà che, allo stesso tempo, ci supera e ci contiene. Non sprecare il tempo potrebbe sembrare un consiglio generico. Invece riassume una saggezza antica. Dobbiamo avere il coraggio di ripeterlo ai nostri figli e, soprattutto, di spiegarlo. Ma utilizzare in modo corretto e rispettoso il tempo che ci è dato in dono non dev’essere una sollecitazione verso un efficientismo senza respiro, un oltranzismo del fare, dell’affannarsi, del produrre. Si può disporre in modo saggio e giusto del tempo anche riconoscendo l’opportunità di fermarci, di sostare, di riposare. Qualche decennio fa gli educatori mettevano i ragazzi in guardia dall’ozio. Era vietato fermarsi. Era inopportuno perdersi in chiacchiere. Erano sospetti lo sguardo e la postura del sognatore. Eppure talvolta l’ozio non era perdita di tempo, era solo una pausa per ripartire meglio. Oggi il tempo digitale ha cancellato ogni momento di pausa nelle ore dei nostri figli, ma anche nelle nostre. Lo smartphone ha divorato ogni tempo morto e costringe a un’attività cerebrale incessante. La rappresentazione deformata del mondo scorre sul video, brucia il tempo e induce una sorta di vigile torpore. Sempre connessi, sempre attenti, ma fino anche punto? Il livello di attenzione è minimo, ma l’assorbimento degli stimoli da parte delle nostre facoltà cognitive è devastante. Occorre allora una grande dose di consapevolezza e di forza di volontà da parte dei nostri ragazzi e un accompagnamento prudente e consapevole da parte nostra perché loro possano riconquistare il proprio tempo sottraendolo alla tirannia del digitale e possano tornare a disporre delle ore e dei giorni senza farsene soggiogare. Quando allora diciamo ai nostri ragazzi “non perdere tempo” in realtà diciamo loro di non perdere sé stessi, di non lasciarsi usare da qualcosa che andrebbe invece usata e sfruttata con intelligenza senza smarrire l’intelligenza stessa, di non sprecare la vita perché il tempo è la nostra stessa vita. Sembrano concetti difficili, ma se ci pensiamo bene accompagnare i nostri figli all’utilizzo corretto e ragionevole del tempo è un impegno che merita tutta la nostra dedizione. Una bella fatica da genitori che dicono no allo spreco. E riescono ad essere testimoni credibili di quanto dicono. Difficile? Sì, ma è questo il proposito più bello e più impegnativo in vista del Natale.

Cos’è un’occasione da non sprecare?

Ogni momento della vita può rappresentare un’occasione da non sprecare. Ma non tutte le occasioni sono uguali. Esistono situazioni così preziose, così uniche, così eccezionali che non andrebbero mai sprecate. Gli esempi potrebbero essere infiniti. Limitiamoci all’ambito delle relazioni familiari. Quante volte ci siamo rammaricati perché, in quel determinato momento, in quel frangente in cui sarebbe stato necessario un nostro intervento, non abbiamo avuto la prontezza di dire le parole giuste. Abbiamo taciuto quando sarebbe stata necessaria un’osservazione adeguata. Oppure abbiamo fatto un riferimento che, in quella determinata occasione, è apparso inopportuno e fuori luogo. Da ragazzo ero affascinato dalle capacità “diplomatiche” di un cugino più anziano che, nel corso delle frequenti discussioni che s’accendevano nelle riunioni familiari, osservava tutto con un sorriso amaro scuotendo leggermente la testa, senza mai intervenire. Una volta, mentre lo guardavo con aria interrogativa mentre si parlava di una questione che lo coinvolgeva direttamente, mi sussurrò all’orecchio: «Un bel tacer non fu mai scritto». Al momento non compresi il significato di quel proverbio, adesso capisco che si trattava di una posizione rispettabile ma parziale. Parlare comunque può essere sbagliato come può esserlo tacere sempre. Quanti conflitti coniugali sono stati spenti da un silenzio prudente, dalla scelta di non rinfocolare la discussione nel momento della massima tensione, riservandosi poi di riprendere la questione a bocce ferme. Ma è altrettanto vero che esistono discussioni che vengono alimentate proprio dal proposito della “non reazione” di uno dei due. Eppure talvolta basta la parola giusta per rendere meno devastante la rabbia, un piccolo intervento all’insegna della comprensione e della volontà di rappacificazione. «Avrei potuto ammettere l’errore e chiedere perdono. Non ho avuto l’umiltà di farlo. Ho lasciato che la mia presunzione si dilatasse fino a chiudere le ferite nel silenzio più ostile». Occasioni sprecate, come le tante che punteggiano il nostro rapporto con i figli. Quante volte ci capita di ripensare a situazioni che, con un intervento più deciso, con una parola più puntuale, avrebbero forse potuto prendere una piega diversa. E, ricordando quel momento, rivedendo il volto deluso di un figlio, di una figlia, che magari contavano sul nostro tempismo per mettere meglio a fuoco un determinato problema, proviamo anche dopo tanto tempo rammarico e sensi di colpa. Occasioni sprecate? Probabilmente sì, anche se è impossibile avere la controprova. In ogni caso riflettere sulle occasioni sprecate nelle nostre relazioni familiari può essere uno spunto interessante per dare senso al tempo di Natale. Per diventare anno dopo anno uomini e donne di buona volontà non è vano ripensare in modo critico a quello che ci siamo lasciati alle spalle e proporsi, anche in questo ambito, di limitare al minimo gli sprechi.

«Non spreco nulla e custodisco tutto. Ma faccio bene?»

Abbiamo accennato a varie declinazioni dello spreco – e ci sarebbe da ragionare su tante altre modalità – ma c’è un’ultima circostanza su cui fare luce, lo spreco di chi non spreca mai nulla. Potrebbe sembrare un paradosso. Chi non spreca mai nulla può essere davvero accusato di sprecare qualcosa? Ebbene sì. Chi pretende di custodire tutto, di conservare ogni cosa, di mettere via tutto quello di cui entra in possesso forse non è una persona attenta allo spreco, ma nella migliore delle ipotesi è solo un accumulatore seriale o meglio, come si diceva un tempo, una persona avara ed egoista. Chi non spreca mai perché tiene tutto per sé, perché non regala mai nulla, né una parola, né un sorriso, né un attimo del suo tempo, rischia di inaridire la propria umanità e quella di chi incontra. La bellezza della relazione si alimenta anche di quella che, agli occhi di un risparmiatore patologico, potrebbe sembrare uno spreco. Un esempio? Una madre super indaffarata che anche la sera a casa, fuori dall’orario di ufficio, deve mettersi al computer per terminare un lavoro importantissimo da presentare il giorno successivo, spreca il proprio tempo se in quel momento spegne il pc e presta attenzione al figlio che chiede di essere ascoltato? Quante volte anche noi, di fronte a richieste simili, abbiamo risposto: «Scusa, adesso non posso davvero. Parleremo domani». E quel domani non è mai arrivato perché poi, il giorno successivo, il problema urgentissimo e inderogabile di cui nostro figlio voleva parlarci, si è dissolto nel nulla. Per lui, o per lei, era fondamentale raccontarcelo in quel momento preciso, quando lo viveva sulla propria pelle come la cosa più importante del mondo, non più tardi, non il giorno successivo, non “appena possibile”. Ma non l’abbiamo capito. Così una preziosa occasione di dialogo e di confronto è sfumata sull’altare della nostra malriposta dedizione al lavoro. Non abbiano sprecato il tempo per concludere il nostro progetto, l’abbiamo invece totalmente sprecato per quanto riguarda la fiducia di nostro figlio e di nostra figlia. Ne valeva la pena?
Parlando di spreco, dobbiamo ammettere che c’è un tempo, ci sono energie, ci sono gesti di disponibilità e di apertura che vanno sprecati, sbriciolati, donati, moltiplicati. Sono i tempi e i gesti della relazione. Quanti più ne sprecheremo tanto più ci torneranno accresciuti e arricchiti. Tra i tanti motti discutibili che adornano il Vittoriale di Gabriele D’Annunzio ce n’è uno, proprio all’ingresso, che recita così: «Io ho quel che ho donato». Parole bellissime che il Vate ha preso in prestito da Seneca e che potremmo fare nostre in questa riflessione sullo spreco in vista del Natale. Tutto quello che abbiamo donato con generosità, attenzione, partecipazione, sacrificio, impegno, altruismo, solidarietà, empatia non può mai essere considerato uno spreco. Tutto quello a cui invece abbiamo rinunciato per egoismo, pigrizia, indifferenza, avarizia, timore di conseguenze indesiderate si è tradotto in uno spreco su cui dobbiamo riflettere. Spreco di umanità e di verità. Davanti al presepe, di fronte al mistero a cui rimanda, il momento può essere opportuno per un esame di coscienza sui nostri sprechi. Nell’attesa non saranno mai sprecati gli auguri più sinceri e la nostra gratitudine a tutte le lettrici e a tutti i lettori che hanno avuto la costanza di seguirci fin qui.

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