Troppe anime nella Lega, un partito in cerca d'autore
di Diego Motta
Il pressing interno contro il ministro Giorgetti ha scoperchiato una realtà ormai evidente: le anime del Carroccio ormai sono troppe e spesso in aperto contrasto tra loro. Vincerà la linea del "sindacato di territorio" o gli spiriti nazionalisti ed euroscettici? Salvini per ora su questo resta silente

Quanti partiti convivono dentro la Lega? E quanto possono mettere a rischio la stabilità del governo Meloni? Sono interrogativi naturali al termine di una settimana abbastanza incredibile sul versante della Legge di bilancio, con un balletto di annunci, frenate, dietrofront che ha avuto per la prima volta come vittima designata Giancarlo Giorgetti, ministro dell’Economia e leghista “doc” dai tempi di Umberto Bossi. Mai dentro la maggioranza era accaduto, in questa legislatura, che il titolare di Via XX Settembre finisse nel frullatore delle polemiche in modo così netto.
È il segnale che le tensioni sono al livello di guardia, in una forza politica centrale per gli equilibri dell’esecutivo. Il ritorno in auge del senatore Claudio Borghi, relatore della manovra e protagonista del caso pensioni, è il segnale che l’anima marcatamente populista del partito (in prima linea anche sul no al riarmo) accetta sempre meno la “ragion di governo” e pare essere disposta a forzare gli equilibri, soprattutto quelli interni al Carroccio. Non va dimenticato che lo stesso Borghi e Alberto Bagnai hanno sostenuto in passato posizioni fortemente euroscettiche e di sfida alle istituzioni, Quirinale compreso. Ma non è l’unico caso di disallineamento dentro la Lega, sebbene la questione economica e il rapporto con una base elettorale sensibile come i pensionati rappresentino in questo momento il cuore della sfida politica.
Nel partito, infatti, sembrano ormai convivere posizioni agli antipodi su temi diversi. In Veneto la recente affermazione di Luca Zaia come mister 200mila preferenze alla corsa per le Regionali che ha incoronato il suo successore, Alberto Stefani, alla presidenza, ha anche rilanciato la vocazione autonomista del partito, l’intuizione del “sindacato di territorio” che tanta fortuna ebbe negli anni Novanta e nel primo decennio del Duemila. Un segnale che arriva da Nord contro la tentazione della forma partito nazional-nazionalista, in cui hanno trovato spazio le nostalgie post-fasciste del generale Roberto Vannacci. Troppi disegni diversi, come detto, coesistono senza che nessuno prenda il sopravvento: il modello Csu-Cdu vagheggiato nel Nord Est per tenere insieme Venezia e Roma, il sogno di un fronte lepenista nato dalla furia anti-migranti, il partito regionalista che torna alle origini.
Prevarrà l’anima territoriale o il sentimento di crescente xenofobia? Il bisogno di lealtà verso Roma e Bruxelles o le pulsioni anti-Ue? Per molti, sarà l’impegno per tenere la guida della Regione Lombardia nel dopo-Fontana contro le mire esplicite di Fratelli d’Italia, la madre di tutte le battaglie. Toccherà allora al segretario Matteo Salvini, fin qui silente (o assente?) sulle questioni interne, dire una parola chiara: un’eventuale implosione della Lega sarebbe un ostacolo fatale per le ambizioni di fine legislatura del governo Meloni.
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