
«Bene ma non benissimo», sostiene Edo Ronchi, ecologista di lungo corso, già ministro dell’Ambiente nei governi Prodi e D’Alema, valutando l’andamento dell’economia circolare in Italia così come disegnato dal Rapporto 2025 del Circular Economy Network (Cen) di cui è presidente. Lo studio, che per la prima volta allarga lo sguardo a tutti e 27 i Paesi dell’Unione Europea, realizzato recentemente in collaborazione con Enea, descrive infatti un’Italia che resta sul podio della circolarità, confermando così una leadership conquistata da anni, ma che rallenta rispetto alle grandi economie della Ue. E registra soprattutto un vulnus considerato “davvero critico”: la forte dipendenza dall’import di materie prime, con ricadute significative in termini di costi e di sicurezza.
Se prima infatti poter disporre di materie prime era facile e conveniente, oggi – con il Covid, le guerre e i dazi di Trump – tutto è diventato una corsa a ostacoli sempre più dispendiosa. Ma anche rischiosa e incerta: più richiesta di materiali si traduce in prezzi più alti, maggiore competitività e di conseguenza una più elevata esposizione ai conflitti. Per il Cen quindi «questo è il momento storico in cui è ancora più urgente spingere – anziché frenare – sull’acceleratore dell’economia circolare». Di un sistema cioè che mira a mantenere il valore dei prodotti, delle materie prime e delle risorse il più a lungo possibile. Più autonomo e sgravato dall’eccessivo carico delle importazioni. Da non dimenticare poi che puntare «sulla lunga vita dei prodotti» è un must che il cambiamento climatico ci impone. E che aiuta – tra l’altro - a ridurre le disparità sociali verso quei Paesi che non si possono permettere di pagare i prezzi lievitati delle materie prime.
L’Italia si distingue ancora come esempio di eccellenza nell’ambito dell’economia circolare, piazzandosi (con 65,2 punti) nel rapporto al secondo posto dopo i Paesi Bassi (70,06 punti). Prima, però, di Germania, Francia e Spagna. Il suo primato si basa su una serie di fattori, uno su tutti la “produttività delle risorse” migliorata del 20% rispetto al 2019. L’Italia, detto più semplicemente, ha prodotto di più usando meno materiali: «Nel 2023 per ogni chilogrammo di risorse consumate è stato prodotto un valore di 4,3 euro». Un dato nettamente superiore alla media europea di 2,7 euro al chilo. Meglio anche il cosiddetto “tasso di utilizzo circolare di materia” – che misura la quantità di “materia prima seconda” (derivante per lo più da processi di riciclo e di recupero) che sostituisce quella vergine – pari al 20,8%; in Francia è al 17,6%, in Germania al 13,9 e in Spagna all’8,5%.
Ci sono però delle criticità. Il numero che in negativo balza subito agli occhi è quello relativo alle importazioni. Sempre nel 2023, si apprende dallo studio, «quasi la metà del nostro fabbisogno di materiali è stata soddisfatta dall’estero». Più del doppio del valore medio Ue. E non si tratta solo di quantità, ma di costi che sono cresciuti in maniera esponenziale. Lo dicono le cifre che raccontano di un aumento che all’Italia è costato nell’ultimo anno quasi 570 miliardi di euro, contro i 424 del 2019. Un più 34% che pesa sulle spalle delle aziende e si riversa a cascata sulla vita dei cittadini con aumenti in bolletta. Gli investimenti in termini di economia circolare poi, sono calati del 22% e l’occupazione è scesa a 508mila addetti (-7%). Al contrario degli altri big europei che sono cresciuti in entrambi i contesti.
Alla luce di questi numeri il comportamento dell’Italia appare quindi quasi schizofrenico: «Ha un primato che in questo quadro di instabilità internazionale la metterebbe al riparo, eppure lo trascura», commenta Ronchi. Per la Cassa depositi e prestiti – addirittura – l’adozione di pratiche circolari ha già generato nel 2024 un risparmio di 16,4 miliardi per le imprese. Con un potenziale stimato di 119 miliardi al 2030.
«Perché allora non rafforzare questo vantaggio e usare l’economia circolare per rilanciare un made in Italy più autonomo, green e competitivo?», la domanda del presidente del Cen. Secondo cui questa analisi sconfessa chiaramente un altro principio che si sta insinuando nelle politiche di mercato europee: ovvero che bisogna rallentare la transizione ecologica per superare la crisi economica, «quando è esattamente il contrario». Certo la posta in palio è alta ma la strada per l’industria italiana, se vuole sopravvivere, non è più opzionale né rinviabile. È piuttosto una visione strategica: si tratta di investire in filiere locali e innovazione per ridurre la dipendenza dall’import di materie prime critiche come alluminio, rame e fosforo; e di valorizzare la capacità manifatturiera, trasformando lo scarto in valore. Solo così si può pensare di aumentare la sicurezza del sistema produttivo riducendo le incertezze e abbattendo i costi.
Che fare allora per superare questo impasse? Il Cen prende dall’ultimo bilancio dell’Ocse parte della sua ricetta per far decollare l’economia circolare. Innanzitutto «maggiore informazione verso i consumatori», che hanno visto i vantaggi della raccolta differenziata, sono predisposti a comportamenti virtuosi, ma non ne sanno abbastanza di circolarità. Non conoscono cioè i vantaggi di un prodotto ecologico “a monte”: che sia quindi più durevole, riparabile e riutilizzabile. Ma allo stesso tempo deve essere vantaggioso per il produttore. «Il mercato delle materie prime seconde oggi è ancora debole – spiega Ronchi – e mancano strumenti efficaci per monitorare i veri progressi della circolarità, che non si misurano solo dai rifiuti».
Per superare questi ostacoli bisogna rendere «più convenienti per tutti le scelte sostenibili, usare la leva fiscale per premiare chi riduce gli sprechi e introdurre criteri circolari anche negli acquisti pubblici». E i benefici che si otterrebbero si leggono nero su bianco in una proiezione della Fondazione per lo sviluppo sostenibile: se da qui al 2030 si riuscisse a ridurre del 3,5% il consumo di materiali, dell’1% la produzione dei rifiuti, e ad aumentare dell’1,5% il tasso di riciclo, si otterrebbe un risparmio di oltre 82 miliardi di euro e una riduzione dell’import di materiali di 40 milioni di tonnellate. Con effetti importanti anche sull’ambiente, contribuendo così al percorso di decarbonizzazione e al contrasto alla crisi climatica (la Commissione Europea stima che l’aumento della circolarità possa ridurre i costi del sistema energetico di 45 miliardi di euro tra il 2031 e il 2050).
Non a caso l’Europa, con il Clean Industrial Deal, si è data come obiettivo quello di raddoppiare la circolarità della sua economia al 2030 e con il Circular Economy Act, la cui presentazione è prevista nel 2026, si punta ad accelerare ulteriormente la transizione. L’economia circolare conviene da tutti i punti di vista, l’Italia è già sul podio europeo in un momento strategico. Bisogna capire ora se vuole restarci, o se preferisce giocare un’altra partita.