mercoledì 9 marzo 2022
Il mondo è quattro volte più ricco rispetto a vent’anni fa ma è anche molto più disuguale Colpa di come in finanza si misura il valore con strumenti come il "Van" e non il benessere
L'insostenibile leggerezza del Wealth Management
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Il mondo non è mai stato così ricco, secondo McKinsey. Nel suo recente studio sulla global wealth, la ricchezza globale, la società di consulenza stima il valore degli asset reali (imprese, immobiliare, infrastrutture) e finanziari delle 10 maggiori economie globali pari a circa 1.540 trilioni di dollari, quattro volte rispetto al 2000. Al netto dei debiti finanziari, questa 'net wealth' risulta pari a 6 volte il Pil (era il 4,5 nel 2000). Non rappresenta forse tutto questo il trionfo della finanza, del wealth management e del modello utilitarista di accumulazione e specializzazione postulato dalla Ricchezza delle Nazioni di Adam Smith? Piuttosto, a me piace ricordare il rischio del 'nealth', nemesi della wealth finanziaria creata dalla prima rivoluzione industriale in avanti, a danno di molte altre dimensioni, di natura economica ma anche sociale ed ecologica, a danno soprattutto delle future generazioni. Da un punto di vista economico, il mondo non è mai stato così tanto indebitato. Visto l’ammontare di debito pubblico accumulato a livello globale (oltre 2,5 trilioni di euro per l’Italia), questo viene traducendosi in monetizzazione (nell’area Euro la quantità di moneta si è moltiplicata per 5 negli ultimi 20 anni) e quindi inflazione – con perdita di potere d’acquisto. L’insostenibilità finanziaria e la perdita di credibilità della finanza ufficiale paiono confermate dalla moda delle crypto currency considerate da alcuni investitori hedge quali 'beni rifugio' e anti-inflattivi.

Da un punto di vista sociale, il mondo non è mai stato così separato, come argomentato da Thomas Piketty, tra super-ricchi (il primo decile della popolazione di Stati Uniti e Cina detiene circa il 70% della ricchezza) e super- poveri (la seconda metà della stessa non arriva al 5%). Le ancor più rilevanti disparità di genere, etnia, credo o orientamen- to sessuale, oltre a generare tensioni sociali, rischiano poi di diventare una 'scusa' per guerre regionali o globali che hanno come reale motivazione la finanza (e risultano altra exit possibile dalla trappola del debito). Infine, da un punto di vista ecologico, il depauperamento dell’ecosistema, delle risorse rinnovabili del pianeta e i conseguenti danni climatici causati dalla wealth finanziaria creata dalle varie rivoluzioni industriali rappresentano ulteriore debito non fattorizzato nell’analisi di Mckinsey e parte della 'nealth' che stiamo lasciando in eredità alla Generazione Z (o Gen 'Zero', per come la chiamo io, essendo destinata ad assumersi gli oneri della conversione verde Net Zero, a fronte di sistemi pensionistici quasi a zero e finanziariamente 'al verde'). Che il mondo, umanisticamente parlando, risulti, al contempo, così monetariamente ricco ed esistenzialmente a rischio lo si deve in larga parte alla definizione di ricchezza – 'wealth' – che come economisti, policy-maker e anche come semplici cittadini ci siamo dati utilitaristicamente? Le misure di profitto reddituale (Roe) o di valore economico (Eva) non prendono in considerazione le diverse dimensioni del rischio, ma nemmeno l’utilizzo delle risorse non rinnovabili e la creazione di esternalità negative, quali ad esempio lo sfruttamento delle persone più deboli o la creazione di inquinamento climatico.

Lo stesso Van ( Valore attuale netto), stella polare della valutazione del prezzo di ogni cosa, dimentica il futuro attualizzandolo a sconto, fino a renderlo finanziariamente irrilevante. Parafrasando il famoso witticism di Oscar Wilde, valutando il prezzo di tutto, senza conoscere il valore di niente e l’aspirazione ultima di nessuno. Se nessun modello di Van ad oggi e per domani può considerare l’importanza cruciale di una società giusta, inclusiva e pacifica o di un pianeta in equilibrio nelle sue risorse naturali e climatiche, ne segue che nessuna decisione presa sulla base di questo potrà minimamente valorizzare i bisogni e gli interessi delle molte generazioni a venire. La vera insostenibilità del modello di wealth management finanziario di cui oggi ci avvaliamo si rifletterà nella più drammatica delle migrazioni e polarizzazioni di ricchezza, benessere e persino chance di sopravvivenza e sviluppo: quella cross-generazionale, ai danni della continuità ed evoluzione della nostra stessa specie umana.

Per questo motivo, a mio avviso, la ricerca della sostenibilità perduta deve basarsi su una nuova definizione di wealth quale umanismo, basata sull’uomo e sulla donna e sul loro senso ultimo, come rappresentanti pro tempore dell’umanità. E su un nuovo modello di gestione del wealth (o meglio, di wealth-being, che richiami anche il benessere, wellbeing, oltre che la ricchezza, wealth) non solo finanziario ma anche orientato alla ricerca dell’utilità e felicità collettive e che cerchi di coinvolgere le persone per renderle non solo migliori investitrici, ma anche migliori consumatrici e migliori cittadine. Tutte impegnate alla ricerca di una propria verità di sostenibilità sufficientemente ' serviceable' (nella definizione di Robert Nozick) che è certamente macroguidata dalle scelte economiche e politiche dei governi e delle grandi aziende, ma anche microfondata sui nostri comportamenti di ogni giorno: quando decidiamo come investire o consumare, scegliendo quindi quale ricchezza del mondo vogliamo massimizzare godendone oggi e quale invece capitalizzare e donare alle generazioni future.

*Fondatore e Amministratore delegato HOPE S.B. SICAF

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