venerdì 8 dicembre 2023
La produzione in patria da fonti fossili non è mai stata così alta. Continuano investimenti e fusioni nel settore, mentre alla Cop28 l'amministrazione democratica si pone tra gli "ecologisti"
Usa, petrolio e gas da record. Sul green restano gli annunci
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“Drill, drill, drill!”. Non c’è uscita pubblica in cui Donald Trump, sentendosi già in piena campagna elettorale, non ripeta come un mantra il suo appoggio alle trivelle. Perforare, dunque, perché il miliardario ha colto lo spirito del tempo. Di una stagione in cui, al di là degli slogan sul green, di un’America che pensa di porsi alla Cop28 come capofila degli ecologisti, in realtà in patria si buca e si perfora come non mai. Una produzione da record, quella del 2023 negli Usa, nel settore oil&gas, una produzione che, sottolineano gli analisti, è anche tra le principali cause del consistente calo del prezzo del petrolio sui mercati internazionali. Non è un caso che i Paesi dell’Opec+ abbiano annunciato in questi giorni che i loro tagli alla produzione di greggio continueranno oltre il primo trimestre 2024. Con una ripresa globale ancora debole e l’incertezza dell’economia cinese, provare a ridurre l’offerta è l’unico modo per sostenere i prezzi, ai minimi da cinque mesi.

Il peso massimo Usa incide sui mercati come un macigno. A settembre, secondo dati diffusi la scorsa settimana, la produzione di greggio a stelle e strisce ha raggiunto il record di tutti i tempi, con 13,2 milioni di barili al giorno, più di ogni altro Paese al mondo: un barile su otto, nel mondo, è ormai prodotto negli Stati Uniti. Volumi che hanno superato ogni previsione e che mettono in serio imbarazzo l’amministrazione Biden, che alla Cop28 di Dubai è apparentemente schierata per la progressiva eliminazione delle fonti fossili. Mercoledi il prezzo del petrolio texano Wti è sceso sotto i 70 dollari al barile per la prima volta da luglio, un calo determinato secondo gli analisti soprattutto dalla super produzione di “shale oil”, il petrolio prodotto dai frammenti di rocce di scisto bituminoso.

Per l’industria petrolifera, insomma, per ora i giorni migliori non sembrano ancora alle spalle. Secondo l’Agenzia internazionale dell’energia, la produzione Usa di petrolio conta per l’80% dell’espansione dell’offerta di petrolio di quest’anno. La crescita della produzione aumenta in particolare nel Bacino Permiano del Texas e nel New Mexico, dove si trovano i maggiori campi petroliferi del Nord America. Nei nuovi pozzi petroliferi del Bacino, la produzione di petrolio per ogni trivellazione è aumentata fino a 1.319 barili al giorno: un decennio fa, il dato era di 183 barili al giorno: un miglioramento dovuto anche alle nuove tecniche estrattive. Secondo Scott Sheffield, numero uno della Pioneer Natural Resources, il principale produttore del Bacino Permiano, la produzione raggiunta è il doppio di quella stimata anche solo un anno fa. Secondo Sheffield c’è una buona possibilità che in totale gli Usa possano raggiungere i 15 milioni di barili di greggio al giorno entro cinque anni, non certo un passo verso la riduzione delle fonti fossili.

Come sottolineato anche dal Financial Times, le nuove tecnologie e l'aumento dell'efficienza stanno consentendo ai trivellatori di continuare a spremere di più dal terreno, basandosi su scoperte come la perforazione orizzontale e la fratturazione idraulica che hanno scatenato la rivoluzione dello scisto a metà degli anni 2000. I progressi significano che i perforatori possono ora perforare orizzontalmente - o lateralmente - per più di tre miglia attraverso la roccia. Secondo Eimear Bonner, manager tecnologico di Chevron, lo scisto è ancora "relativamente all'inizio della sua vita" in termini di progressi tecnologici che potrebbero portare a un’ulteriore produttività: “Abbiamo migliorato l'efficienza di perforazione, stiamo venendo a contatto con più giacimenti, stiamo ottenendo più dati che ci stanno aiutando a prendere decisioni migliori e i nostri primi progetti pilota tecnologici ci stanno dimostrando che si può fare di più".

Non proprio ottime notizie, insomma, per chi spinge invece verso un maggiore produzione di energia da fonti rinnovabili. Dopo l’austerità seguita alla crisi pandemica del 2020, i big Usa del petrolio stanno spingendo sugli investimenti. Exxon ha deciso di rilevare Pioneer per 60 miliardi di dollari e Chevron ne sta spendendo 53 per acquisire Hess, scommesse gigantesche su una ancora forte futura domanda di fonti fossili. L’invasione russa in Ucraina, che ha fatto impennare i prezzi dell’energia, ha fatto da incentivo ai produttori per maggiori trivellazioni. Anche la produzione di gas naturale Usa è a un livello record, con 125 miliardi giornalieri di piedi cubi (equivalenti a 3,5 miliardi di metri cubi) a settembre.

L’aumento di produzione di petrolio e gas aumenta le accuse degli ambientalisti verso l’amministrazione Biden, tacciata di “ipocrisia”. Entrato alla Casa Bianca tra promesse di transizione ecologica, il presidente democratico non ha poi contenuto le maggiori perforazioni, con l’obiettivo di mantenere sotto controllo i prezzi dei carburanti. “Pragmatismo”, lo chiama qualcuno (in particolare i grandi capi di Big Oil), “il suo è un ambientalismo solo di facciata”, rispondono i critici. Quel che è certo è che per la vera transizione green, negli Usa, c’è ancora molto da attendere.

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