domenica 11 febbraio 2018
Il direttore dell'Osservatorio conti pubblici della Cattolica: obbligare i partiti a indicare costi e coperture delle proposte per legge
Cottarelli: «Serve un Def elettorale»
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Carlo Cottarelli, cosa la colpisce di questa campagna elettorale?
Due cose – risponde il direttore dell’Osservatorio conti pubblici dell’università Cattolica –. In via generale, le promesse sono più ampie del passato. Di 'sparate' ne ho sentite proprio tante, e grosse, su numeri e su misure. C’è più competizione, quindi la lotta è più intensa e ognuno dà il 'meglio di sé', per così dire. La seconda è la loro vaghezza e contraddittorietà.

Lei quale consiglio darebbe ai partiti?
Io farei una proposta: una legge che, dalle prossime elezioni, dica che ogni partito è obbligato, pena l’esclusione, a depositare insieme al programma un documento in cui si indica – misura per misura – il costo delle proposte fatte, l’obiettivo di deficit e debito pubblico per ciascuno dei 5 anni successivi, il totale della spesa e delle entrate che si prefiggono. In modo tale che i cittadini ci capiscano qualcosa.

Una sorta di Def anticipato. Lei punta, giustamente, un faro anche sul debito.
Il debito si è stabilizzato, però sale ancora più di quanto sarebbe giustificato dal deficit annuo. Anche per effetto del costo dei derivati, di cui poco si parla: nel triennio 2018/20 dovrebbe aggirarsi sui 10 miliardi. È chiaro che quando i tassi d’interesse sono bassi, come oggi, il problema debito è meno sentito. Occorre perciò essere lungimiranti, perché prima o poi i tassi risaliranno. Il problema è l’attitudine nostra nell’interpretare quel che sta succedendo. Nei programmi si assume, in genere, che l’inflazione vada su e che i tassi restino ancora bassi, ragion per cui il Pil crescerebbe in termini nominali portando giù il rapporto del debito. Ma sono tutte ipotesi molto ottimistiche. L’errore maggiore che possiamo fare è pensare che il debito sia solo un po’ di nebbia e non vedere l’iceberg che c’è dietro.

Tanto più che gli stessi partiti, solo 6 anni fa, hanno votato loro per il pareggio di bilancio in Costituzione. Un impegno dimenticato?

Esatto. È stata ammessa la deviazione dall’obiettivo di pareggio in presenza di 'variazioni temporanee' del ciclo economico, ma qui sono 6 anni ormai che troviamo un motivo o l’altro per giustificare questi scostamenti. Peraltro, a parte l’eccezione di +Europa, in risposta alle sollecitazioni da noi chieste sugli obiettivi di finanza pubblica l’unico piano che prevede il pareggio è quello di Fi. Pd, Lega, Leu e M5S vogliono tutti un deficit più elevato.

E come valuta le proposte fiscali sulle
famiglie?
La demografia è un tema molto importante. Venerdì è uscito il mio libro 'I sette peccati capitali dell’economia italiana' (Feltrinelli) e il quinto è appunto il calo della natalità, alla base di tanti problemi che stiamo avendo. Purtroppo è un nodo che richiede tanti soldi, e noi dobbiamo prima ridurre il debito. Servono fondi per varare politiche simili a quelle fatte in Svezia, con asili che costano molto poco, anche ai redditi alti, e forme di protezione come la garanzia di nessun taglio allo stipendio per il genitore che sta a casa fino a 12 mesi per la cura di un figlio. La Svezia, che con queste politiche ha fatto risalire il tasso di natalità, ha un debito pubblico basso, però. Le proposte avanzate qui da noi, invece, sono insufficienti per avere un impatto. Certo che, se comunque si vogliono spendere oggi delle risorse, è meglio darle alla natalità che alle pensioni.

Anche sul rilancio degli investimenti c’è un certo silenzio, non trova?
Sì. Ne parlano, poco, soprattutto Leu, Lega e un po’ M5S. In Italia abbiamo un livello di investimenti pubblici intorno al 2,1% del Pil contro il 2,8 di prima della crisi. Ma sa dov’è la Germania? Anch’essa al 2,1% del Pil. Cioè investiamo, in rapporto, tanto quanto la Germania che ha un debito metà del nostro. Certo, loro dovrebbero spendere di più... Ma, intanto, se noi riuscissimo a investire meglio oppure a farlo a costi più bassi, una spesa per investimenti come l’attuale ci basterebbe.

Accennava alla vaghezza dei programmi...
Per chi vuol fare fact checking è davvero difficile. C’è il documento in 10 punti del centrodestra, siglato dai leader, che ha pochi numeri. Pure Leu e M5S ne hanno dati pochi. Il Pd di punti ne ha presentati 100, però ci sono delle cose che stanno nella sintesi e non nel documento più corposo.

Per esempio?
Si dice che la spesa per investimenti in cultura e sicurezza salirà al 2% del Pil, poi non ce n’è traccia nel documento. Un altro esempio è la flat tax: nel documento dei leader si dice che avrà 'piena copertura con il taglio degli sconti fiscali', che io interpreto come le agevolazioni. Però questo taglio è molto difficile politicamente da realizzare, inoltre discutendo in tv con esponenti leghisti ho verificato che loro stessi lo ignorano. C’è una gran confusione.

Chi la cita direttamente è 5 Stelle,
che parla di 30 miliardi in 3 anni realizzabili con la spending review.
Si può pensare di riuscirci, ma si tratta di fare cose non facili. Costi della politica a parte, che non danno grosse cifre, fra le mie misure c’erano tagli alle pensioni in essere, solo per chi ha assegni maggiori in rapporto ai contributi versati; risparmi sulle partecipate, anche licenziando personale in eccesso; chiusura di alcune prefetture o stazioni dei carabinieri, quando sovrapposte alla polizia; calo dei trasferimenti alle ferrovie.

Ma quanto è stato già tagliato sulla spesa in questi anni?
Se si scorporano i 10 miliardi degli 80 euro, che l’Istat classifica come 'uscita' e non come detassazione, in effetti la crescita della spesa pubblica primaria dal 2014 è stata dello 0,4% l’anno, meno che all’estero. Però lo si è ottenuto con mezzi rozzi, tagli lineari che hanno colpito tutti i Comuni, anche quelli più virtuosi, sanità e investimenti. L’unica spesa che ha continuato a salire è quella per le pensioni.

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