domenica 11 febbraio 2018
I partiti: puntare sulla crescita. Pd e Fi promettono anche dismissioni straordinarie
Cura-debito, quei programmi in deficit
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Il ritorno del nervosismo nelle Borse di tutto il mondo, il riacutizzarsi delle tensioni in Medio Oriente, lo stallo politico in Germania se non decolla la grande coalizione europeista. In questi giorni i segnali di un peggioramento del quadro internazionale non mancano. Ma anche senza ipotizzare eventi traumatici, il contesto di relativa stabilità e crescita nel quale si è trovata a vivere l’Italia negli ultimi 2-3 anni potrebbe essere alle nostre spalle, con l’incognita legata all’uscita dalla stagione del quantitative easingdella Bce, che potrà comportare un aumento della spesa per interessi. Nonostante questi rischi, i programmi economici dei partiti in vista del voto del 4 marzo puntano più sull’ottimismo che su prudenza e realismo – merci che in campagna elettorale non pagano – con un ricco e costoso menù di promesse (valore complessivo di oltre un centinaio di miliardi) che non è ben chiaro come potranno essere mantenute. La sola Flat tax (nella versione Lega) produrrebbe secondo lavoce. info un buco di gettito pari a 58 miliardi che non sarebbe colmato nemmeno con il recupero integrale di tutta l’evasione sull’Irpef. Il sussidio contro la povertà proposto da Forza Italia vale una trentina di miliardi e poco meno il reddito di cittadinanza firmato Cinquestelle. Il sostegno alle famiglie con figli proposto dal Pd costa tra i 9 e i 13 miliardi, cui i dem aggiungono il taglio dell’Irap. Senza considerare l’impatto di un abolizione/revisione della legge Fornero sulle pensioni, promessa da Lega e M5S. La realtà che ci aspetta è meno seducente: l’Ue sta preparando un richiamo sul deficit 2018 che potrebbe costarci una manovra correttiva già in primavera mentre per il 2019 ci saranno ancora da disinnescare le note clausole di salvaguardia per evitare aumenti Iva da 12,5 miliardi. Un tema centrale come la riduzione del debito pubblico resta in- vece sullo sfondo, solo accennato nei programmi e poco dibattuto in pubblico. Eppure lo stock dell’indebitamento ha raggiunto il 132% del Pil, fatica a scendere nonostante il ritorno alla crescita economica, e in un contesto meno favorevole potrebbe esporci a nuovi attacchi speculativi. Sotto questo aspetto Pd e Forza Italia sono i partiti che hanno messo in campo le proposte più articolate e in un certo senso affini. Entrambi i partiti, secondo quanto affermato da Luigi Marattin per i dem e Renato Brunetta per gli 'azzurri', pensano a una vendita straordinaria di beni pubblici: il primo ipotizza un programma di dismissioni mobiliari e immobiliari del valore, nell’arco di dieci anni, tra il 2 e il 4% del Pil (35-70 miliardi) forse attraverso la Cassa depositi e prestiti, controllata dallo Stato ma fuori dal recinto della Pa. Brunetta pensa invece alla creazione di un’apposita società veicolo privata cui vendere «beni patrimoniali e diritti dello Stato non strategici».

Per entrambi i partiti l’obiettivo è ridurre il rapporto tra debito e Pil al 100% (Forza Italia in soli 5 anni, il Pd in 10), un maxi taglio di oltre 30 punti, che grosso modo alle cifre attuali equivale a 500 miliardi. Le dismissioni, dunque, non basterebbero e il grosso dell’operazione sarebbe affidata a una graduale diminuzione del rapporto spingendo sull’aumento del Pil nominale (comprensivo dell’inflazione) e sull’avanzo primario (cioè del saldo entrate-spese al netto del pagamento degli interessi). Forza Italia ipotizza che grazie a una politica di tagli fiscali e riduzione delle spese che rafforzi la credibilità finanziaria del Paese l’avanzo possa salire al 4% del Pil, rispetto al 2% previsto dal governo per il 2018. Un raddoppio che equivale a risparmi per ben 34 miliardi l’anno. Dove trovarli a fronte delle tante promesse su pensioni, fisco e povertà? Per il Pd anche con l’avanzo e la crescita del Pil stabili ai valori attuali la riduzione del debito può essere percorsa, a patto però che l’inflazione risalga al 2% e che il costo del debito resti agli attuali livelli, due condizioni che lo stesso Marattin riconosce come contraddittorie: perché se l’inflazione aumenta la Bce chiuderà rapidamente l’ombrello del Qe e i tassi di interesse tenderanno a risalire.

La Lega non pone la riduzione del debito come priorità principale e punta su un «approccio pragmatico» tutto basato su un rafforzamento della crescita economica attraverso detassazioni e investimenti produttivi. Anche se lo stesso responsabile economico Claudio Borghi si dice «consapevole» che per l’Italia una crescita accelerata all’interno dell’eurozona «non è sostenibile». I Cinquestelle non negano che il problema sia «gigantesco e da non trascurare » e pensano a un «piano ambizioso per ridurre il rapporto debito-Pil di 40 punti percentuali nel corso di due legislature. Il come resta piuttosto vago. Pure in questo caso tutto è affidato a un risolutivo aumento del Pil, ottenuto con l’abbandono del Fiscal compact e un «mix di razionalizzazione della spesa e investimenti innovativi» che permetteranno, in una seconda fase, di aumentare le entrate e ridurre il debito. Infine Liberi e Uguali, che a sua volta punta su un rafforzamento di una crescita 'ecologica', sostenuta da investimenti pubblici, e dell’inflazione. Insieme a una maggiore condivisione in Europa dei rischi sui tassi di interesse attraverso il Fondo salva-Stati: con l’obiettivo, in 10 anni, di azzerare gli spread nella zona euro. Ma chi convincerà i 'falchi' del Nord Europa?

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