giovedì 28 luglio 2011
Quasi la metà delle imprese nel 2009 aveva bilanci in rosso. E il taglio dei trasferimenti pubblici sta peggiorando la situazione. Sempre più vecchio il parco degli autobus.
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La crisi della Irisbus, azienda avellinese di autobus che Fiat Industrial ha annunciato di dismettere. E i ripetuti scioperi dei lavoratori dei mezzi pubblici, l’ultimo il 22 luglio scorso. Sono due spie dello stesso fenomeno, la crisi del trasporto pubblico locale italiano, un pachiderma dalle mille teste strangolato dal taglio dei trasferimenti statali e dai suoi limiti strutturali: nanismo delle imprese, sono circa 1200, inefficienza e alti costi di gestione, spesso favoriti da una lunga pratica clientelare nelle assunzioni e nelle nomine, alto indebitamento, vetustà dei mezzi e delle infrastrutture. Ovviamente non tutte le aziende sono uguali. Ma nell’insieme il settore, senza cambi di rotta, rischia un collasso finanziario. Lo stato di sofferenza che blocca da due anni e mezzo il rinnovo del contratto di lavoro della mobilità (dove confluiranno anche gli autoferrotramvieri) a maggior ragione impedisce alle singole aziende di investire sul rinnovo dei mezzi circolanti, che pure ne avrebbero bisogno. La domanda di nuovi autobus è crollata: fino a pochi anni fa la Irisbus ne produceva tra i 1200 e i 1500 l’anno. Ora sono meno di 500. Da qui la decisione di Iveco di cedere la fabbrica campana, unica in Italia, che impiega quasi 700 dipendenti oltre all’indotto. Nei giorni scorsi è stato firmato un contratto preliminare di vendita alla Dr Motor mentre è ancora aperto il tavolo di crisi al ministero dello Sviluppo Economico con un incontro, considerato risolutivo, fissato per mercoledì prossimo. I conti. Gli ultimi dati complessivi riguardano il 2009, anno nel quale le società che presentavano bilanci con un margine operativo negativo erano salite dal 25 al 28% e quelle in perdita netta balzate dal 34 al 46%. Nel 2009 le aziende avevano però beneficiato di un ultimo aumento dei trasferimenti pubblici ed è quindi scontato che negli anni successivi il «rosso» sia aumentato con il taglio delle risorse e l’aumento del prezzo dei carburanti. Secondo l’ultimo Rapporto annuale sulla mobilità dell’Isfort i costi delle imprese di trasporto corrono ben più delle entrate: le uscite per la gestione operativa sono crescite del 26,7% dal 2002 al 2009 a fronte di un aumento dei ricavi da traffico del 22,8% e delle compensazioni pubbliche del 23,3%. Così la quota dei costi coperta con la vendita di biglietti e abbonamenti è scesa ancora. Nella media nazionale è sotto il 30% e al Sud addirittura al 16,9%. La mano pubblica copre così quasi metà dei costi nel Nord Ovest , quasi il 58% nel Nord Est, il 60% al Centro e il 70% al Sud. Nel 2011 le Regioni hanno visto diminuire le risorse effettive per il settore di oltre 300 milioni di euro. E nel 2012 i tagli complessivi arriverebbero secondo Isfort al 23%. Tagli pesanti, che per forza di cose colpiscono più gli investimenti che la spesa corrente. Nel 2008 l’età media degli autobus italiani era già di 8 anni e mezzo, oggi secondo i sindacati siamo a 10-11 anni, a fronte dei 7 della media europea. L’invecchiamento fa aumentare i costi di manutenzione mentre diminuisce la sicurezza dei passeggeri e aggrava l’inquinamento degli ambienti urbani. E il trasporto pubblico fa fatica a mantenere la sua quota di mercato, già molto bassa: tra il 2000 e il 2009 la percentuale di chi sceglie un autobus o un tram per spostarsi in città è scesa dal 9,6 al 9,2% del totale, mentre l’auto è salita dal 60 al 65,5%.Il mercato del Tpl. Nel 2008 le aziende erano quasi 1200, con oltre 85mila addetti. Il grado di frammentazione italiano non ha eguali in Europa. Su cento imprese sessanta hanno meno di dieci dipendenti e solo 11 ne ha più di cento. I nostri primi cinque operatori nazionali si spartiscono una fetta di mercato del 27%. In Francia è l’82%, in Gran Bretagna il 66% e in Germania il 37%, dove però otto grandi aziende si dividono quasi tutta la torta. Solo nel Lazio invece operano 31 aziende di trasporto pubblico. L’Atac, di proprietà del Comune di Roma, al centro di un’indagine della magistratura per la cosiddetta "parentopoli" nelle assunzioni, è la più grande azienda italiana: nel 2009 aveva circa 13mila dipendenti e un parco di 2310 mezzi di trasporto. La seconda è la milanese Atm che con 2880 mezzi ha 8800 addetti. All’estero le aziende sono molto più grandi. La britannica First Group, ad esempio, è un gigante privato con ottomila bus e 60mila scuolabus e opera anche in Canada e Usa. La francese Rapt gestisce tutto il trasporto di bus, metro e ferrovie per i 9 milioni di abitanti della regione di Parigi e ha 56mila dipendenti.
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