mercoledì 24 novembre 2010
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Valutare carichi e ritmi di lavoro, orario e turni, percorsi di carriera e perfino i conflitti con i colleghi. Dal prossimo 31 dicembre questi fattori di stress dovranno essere "misurati" in ogni luogo di lavoro per mettere in atto iniziative in grado di eliminare o ridurre al massimo situazioni a rischio. Lo prevede la circolare firmata giovedì scorso dal ministero del Lavoro in attuazione del Testo unico sulla salute e la sicurezza nel lavoro.La circolare è in sostanza un atto dovuto, perché sia le normative europee sia quelle nazionali affermano, come spiega una nota del ministero guidato da Maurizio Sacconi, che «la valutazione dei rischi da lavoro deve comprendere tutti i rischi per la salute e la sicurezza di lavoratrici e lavoratori». Non solo, quindi, i fattori tradizionali, come, per esempio, l’uso di sostanze nocive o di macchinari pericolosi, ma anche i «rischi di tipo immateriale, tra i quali, espressamente, quelli che riguardano lo stress lavoro-correlato». «Penso – spiega Fabrizio Daverio, avvocato esperto in diritto del lavoro – che ormai la parola passi agli esperti, che su incarico dei singoli datori di lavoro cercheranno di "misurare" lo stress nelle singole aziende. Resta il dato di fondo: il "diritto alla felicità" è un’utopia, anche nel posto di lavoro; quel che già basterebbe è una realistica attenzione alle dimensioni personali».Per stabilire il metodo col quale individuare questa categoria di rischi una commissione di esperti del governo, delle Regioni e delle parti sociali ha definito un percorso, «che rappresenta il livello minimo di attuazione dell’obbligo» al quale dovranno attenersi «tutti i datori di lavoro». Per prima cosa, dice la circolare, bisogna definire che cosa è lo «stress lavoro-correlato», seguendo l’Accordo europeo dell’8 ottobre 2004. Tuttavia, avverte il ministero, lo stress da considerare è solo quello causato da «fattori propri del contesto e del contenuto del lavoro». «Ormai è acquisito – conclude Daverio – che le aziende debbono farsi carico dell’eventuale stress originato dal lavoro o nell’ambiente di lavoro. Non possono liquidarlo come "problema personale" dei lavoratori e non possono ignorarlo. Naturalmente stiamo parlando di un "rischio", che in certi casi può esserci e in altri casi può non esserci. Non deve cioè essere trovato a tutti i costi. Il problema è che anche la commissione rimane in termini generali. Va inoltre ha precisato che la scadenza del 31 dicembre va interpretata nel senso che da tal data deve cominciare l’attività di valutazione». Non bisogna, quindi, far confusione con motivi personali o familiari di stress. Anche per questo, dice la circolare, la valutazione va fatta su «gruppi di lavoratori esposti in maniera omogenea allo stress» e non sul singolo. Il datore di lavoro può avvalersi «del responsabile del servizio di prevenzione e protezione con il coinvolgimento del medico competente, ove nominato, e previa consultazione del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza».La valutazione avviene in due fasi. La prima obbligatoria tesa a rilevare «indicatori oggettivi e verificabili» di vario tipo: dall’indice di infortuni alle «specifiche e frequenti lamentele formalizzate da parte dei lavoratori», dai turni ai «conflitti interpersonali al lavoro», dalla corrispondenza tra le competenze dei lavoratori e ciò che viene richiesto loro all’«evoluzione e sviluppo di carriera». Se non emergono elementi di rischio, il datore di lavoro dovrà solo darne conto nel Documento di valutazione del rischio e prevedere un piano di monitoraggio. Se invece risultano fattori di stress, si passa alla fase due: prima l’adozione di «opportuni interventi correttivi» e poi, se la situazione non migliora, alla «valutazione approfondita», anche attraverso «questionari, focus group e interviste semi-strutturate».
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